Trap(pola) musicale
In testa alle classifiche
Per alcuni è il peggiore dei mali, altri la amano così tanto da farne una ragione di vita. Di sicuro è il fenomeno musicale di maggior successo degli ultimi anni. E questa è la sua storia…
di Ezio Guaitamacchi
Nello slang del Sud degli States il termine “trap” (letteralmente, trappola, tranello) indica un luogo in cui ci si rifornisce di droga. E nelle trap houses, edifici diroccati nei quartieri malfamati delle metropoli americane, le sostanze vengono addirittura prodotte (o, come si dice in gergo, “cucinate”), tagliate, consumate, vendute. Col tempo, queste “case” sono diventate centri di enormi profitti ad alto tasso di criminalità. Non è una novità che cultura e musica hip hop, data anche la loro origine “stradaiola”, abbiano spesso frequentato territori ai confini della legalità; ne è stato testimone esemplare, nella seconda metà degli Anni 80 il cosiddetto “gangsta rap”. Tre lustri dopo, in alcune trap houses di Atlanta, Georgia, ha cominciato a svilupparsi un genere musicale evolutivo di quel rap che, per sua natura, è sempre stato alla ricerca di nuovi suoni, nuovi linguaggi, nuove estetiche. E che non si è mai fermato di fronte a nulla, semmai ha preferito cambiare pelle. Nell’agosto del 2003 un rapper di Atlanta, T.I., che aveva firmato con la Arista un paio di anni prima senza sfondare, pubblicò un album intitolato Trap Muzik. La scelta del nome non era affatto casuale: “Che ci piaccia o meno”, spiegava, “la maggior parte dei giovani afroamericani vive in quartieri in cui si spaccia droga. Cresciamo in questi ambienti, è l’unica vita che conosciamo”.