
La fattoria del fare: vivere e lavorare alla Grymsdyke Farm
Nel Buckinghamshire, in Inghilterra, Grymsdyke Farm è un centro di ricerca progettuale insolito, un laboratorio dove gli studenti possono sperimentare più di quanto sia consentito fare a scuola, e dove designer, architetti e altri professionisti possono dare sfogo alla propria creatività trovando, fra le mura di questa fattoria, un posto in cui vivere e lavorare. Il progetto, messo in piedi da Guan Lee, professore di architettura alla Bartlett School of Architecture di Londra, si radica nella storia della contea come luogo di produzione: di mattoni, già dal ’300, ma anche di mobili, a partire dalla sedia Windsor sviluppata nell’800 nella città di High Wycombe. «Si tratta di una pratica di vita e di lavoro che combina materiali e tecniche tradizionali con nuove tecnologie», spiega Lee, che però si affretta a precisare: «Non è una comune. Non c’è un guru». Ad aver ispirato l’architetto è stato un workshop per la riqualificazione del villaggio agricolo di Koshirakura, in Giappone, fra i tanti che rischiano di scomparire a causa dello spopolamento delle campagne. «Il tipo di spirito comunitario che si respirava durante il lavoro nel villaggio mi è rimasto impresso, e mi è piaciuto il modo in cui il team si è confrontato con una cultura particolare. Volevo che questo fosse parte integrante della mia pratica», ricorda. Grymsdyke Farm è nata così, senza un vero piano, ma con l’idea che creativi di diversa provenienza potessero prendervi parte, contribuendo con idee e progetti alla sua realizzazione.

i tutor di reading design
Oggi che la fattoria ha più di 20 anni sono quattro gli elementi che la definiscono: c’è il laboratorio dove lo stesso Lee esplora modi di produzione alternativi e ci sono le persone che vengono invitate a partecipare a questo processo di ricerca. Il terzo elemento è l’ambiente, quello in cui la struttura si inserisce e con il quale Lee si è impegnato a costruire un dialogo, esattamente come ha visto fare a Koshirakura. Infine c’è il «processo di trasformazione», ovvero «come le cose si evolvono da solide a liquide, cambiano forma e così via». Il nesso tra lavoro e vita è stretto e fra le sue attività la struttura organizza workshop, seminari e residenze, offrendo ai partecipanti la possibilità di confrontarsi con diversi materiali e metodi di progettazione, dalla lavorazione tradizionale di legno, metallo e ceramica alla stampa 3D. «Mi sono reso conto che la nostra comunità è influenzata da come e cosa produciamo», dice Lee il cui interesse, quando ha iniziato a lavorare alla Grymsdyke Farm, era soprattutto per l’argilla, che ha scoperto essere presente nel terreno della fattoria. Da lì è nata la consapevolezza che i materiali di origine vegetale non sono “cose” che fanno parte di un luogo, ma il luogo stesso del quale è necessario prendersi cura. La sperimentazione sui materiali e l’interesse per i processi produttivi che caratterizza la fattoria ha ispirato anche Reading Design, una residenza di un mese guidata da quattro docenti-designer: Attua Aparicio, Marco Campardo, Sarah van Gameren di Studio Glithero e lo stesso Guan Lee. Approfondendo i modi in cui possibile rendere il processo di produzione «leggibile in modo performativo», i quattro progettisti si sono concentrati ciascuno su un materiale: per la spagnola Aparicio è stata l’argilla con cui realizzare vasi, per Campardo – italiano con base a Londra – la fusione del vetro a cera persa; con van Gameren, dai Paesi Bassi, la ricerca si è focalizzata invece sul gesso, mentre Lee ha guidato gli studenti nello studio della fusione in conchiglia (così chiamata perché utilizza stampi permanenti che si aprono e chiudono proprio come conchiglie) per creare sedie e tavoli in bronzo. In tutti i casi si è trattato di sperimentare qualcosa di nuovo, lavorando con materiali con cui raramente i partecipanti avevano avuto a che fare prima. Il risultato è una collezione di oggetti presentata all’ultima edizione del London Design Festival e in vendita nel farm shop della fattoria, insieme negozio e spazio espositivo che permette alla struttura di autofinanziarsi.

due tra gli oggetti creati dai partecipanti al workshop reading design.

Ma The Farm Shop è anche il nome della prima iniziativa con cui Grymsdyke Farm si è fatta conoscere da una comunità internazionale di amanti del design. Curato da Guan Lee con Marco Campardo e Luca Lo Pinto, cofondatore della rivista e casa editrice Nero ed ex direttore del Museo Macro di Roma, il progetto ha riunito designer e artisti per approfondire, attraverso la creazione di oggetti, il concetto di freschezza. Sfumando il confine tra cultura e agricoltura, The Farm Shop allude infatti al negozio di prodotti alimentari collegato a un’azienda agricola. Pur non essendo una fattoria in questo senso, l’etica di Grymsdyke Farm rimane comunque «incentrata su freschezza, solidità e leggerezza», come tiene a sottolineare Lee. «Quindi freschezza significa un’idea nuova». Per svilupparla, i creativi – una ventina in tutto, tra cui la francese Laëtitia Badaut Haussmann, il duo anglo-francese Daniel Dewar & Grégory Gicquel e l’italiano Nicola Pecoraro – sono stati invitati a collaborare con la gente del posto, adeguandosi alle capacità produttive della struttura. Come per Reading Design, anche gli oggetti nati da questa esperienza sono in vendita nel farm shop, con l’invito da parte di Lee a considerarne il valore: «Acquistare prodotti freschi in una fattoria è diverso dall’acquistare gli stessi prodotti in un supermercato. Crediamo che quando i consumatori decidono di acquistare articoli per la casa, come una lampada o un tavolo, dovrebbero fare lo stesso ragionamento». E così, offrendo oggetti di uso comune, Grymsdyke Farm spera che il pubblico cominci ad apprezzare il design quando è «essenziale, pratico e durevole». E soprattutto quando è in grado di valorizzare l’artigianato e sostenere l’economia locale.