WorldIl settore aereo alla ricerca di carburanti sostenibili

Il settore aereo alla ricerca di carburanti sostenibili

Quando è decollato il primo volo commerciale, il 1° gennaio 1914, l’impatto del settore aereo sull’inquinamento non era una priorità. Più di un secolo dopo, l’attivista Greta Thunberg ha fatto conoscere al mondo il termine flygskam, “vergogna di volare”, con l’obiettivo di ridurre i viaggi aerei. La decisione di Greta di attraversare l’Atlantico in barca per partecipare al vertice delle Nazioni Unite a New York, ha colpito l’opinione pubblica e incentivato le persone a trovare modalità alternative al volo.

Perché il settore aereo ha bisogno di carburanti sostenibili

E meno male: uno studio di Obc Transeuropa, pubblicato in occasione del recente vertice climatico Cop26, ha dimostrato che il 34% dei 150 voli più trafficati a corto raggio è rimpiazzabile con meno di sei ore di treno. Mentre, secondo Greenpeace, sopprimendo i primi 250 voli a corto raggio in Europa si eviterebbero 23,4 milioni di tonnellate di CO2 per anno, pari a tutte le emissioni della Croazia. Su tratte più lunghe, tuttavia, pochi hanno a disposizione le settimane che Thunberg ha trascorso sull’oceano. E seppure il motore di ricerca Skyscanner già consenta ai passeggeri di scegliere i voli più sostenibili (circa il 4% del totale) serve l’impegno delle compagnie aeree. Subito dopo il forzato stop pandemico, infatti, il numero dei voli è destinato a salire, passando dai 4,4 mld del 2019 ai 10 mld previsti per il 2050. Anche se in Europa molti aerei stanno viaggiando senza passeggeri per occupare gli slot aeroportuali e raggiungere così le percentuali di utilizzo previste dalle regole comunitarie, producendo un inquinamento che contraddice gli stessi obiettivi di sostenibilità promossi dall’Unione.

La compagnia aerea peggiore 

Allo stesso tempo il settore si è attivato sull’efficientamento dei nuovi aeromobili. Un recente report di Oag, principale sito di statistiche aeree, che ha stimato la quantità media di carburante utilizzata per km, conferma che chi utilizza aerei più recenti consuma (e inquina) meno. Sulle rotte transatlantiche la nuovissima flotta di Aer Lingus ha quasi la metà dell’impronta di carbonio della compagnia meno efficiente, Air France. Sulle rotte più brevi, invece, la compagnia “peggiore”, Iberia, consuma tre volte più di Jet2.com, la migliore; eppure il parco aeromobili è simile. Perciò, si legge nel report, “la scelta degli aeroporti potrebbe spiegare la differenza”. Infatti “è probabile che i voli sulle principali città, richiedendo per il traffico in pista lunghi percorsi di avvicinamento, usino più carburante rispetto ai voli su aeroporti fuori mano”. Ulteriori benefici ambientali si ottengono quando si adottano accorgimenti come il rullaggio con un solo motore (Austrian Airlines), la riduzione dell’uso delle luci di atterraggio (Aer Lingus) e l’ottimizzazione del percorso (Klm). In più Volotea, Air France e Norwegian Air Shuttle hanno adottato Sky Breathe, un software che analizza le tratte e le operazioni di volo per ottimizzare il consumo di carburante.

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Illustrazioni: Giorgia Bacis. Fonte: Air Bp

Che cos’è il Saf: Sustainable aviation fuel

A questo proposito, una delle novità più promettenti è legata a SkyNrg, società che fornisce alle compagnie aeree biocarburanti ottenuti da rifiuti riciclati come olio da cucina usato, rifiuti industriali e residui agricoli. Noti come Saf (Sustainable Aviation Fuels), questi combustibili vanno miscelati con quelli tradizionali e sono idonei ai serbatoi attuali senza modifiche. Vari Paesi europei hanno già stabilito linee guida per i Saf: i Paesi Bassi, per esempio, hanno stabilito che costituiranno il 14% del carburante per l’aviazione civile entro il 2030. Ma da un lato la riduzione delle emissioni rispetto al cherosene, che pure c’è, varia a seconda di come i Saf vengono prodotti; dall’altro, essi sono molto più cari dei combustibili tradizionali. E qui si pone il classico dilemma dell’uovo o della gallina: se la produzione di Saf avvenisse nella misura necessaria a soddisfare le esigenze dell’aviazione, il prezzo scenderebbe, diventando competitivo con il cherosene? Ma, senza domanda, l’offerta non cresce; e poiché l’offerta attuale è ridotta, è difficile stimolare la domanda. Tocca quindi alla politica alterare il mercato, tassando il cherosene o prescrivendo che sia Saf una data percentuale di tutto il carburante usato dalle compagnie (con l’effetto a cascata del rincaro del prezzo del biglietto aereo dell’8% entro il 2050). A questo proposito, un primo segnale c’è già: nel settembre 2021 il presidente statunitense Joe Biden ha erogato incentivi affinché l’aviazione civile Usa ricorra esclusivamente a Saf entro il 2050.

Voli alimentati a idrogeno

Tuttavia, per quanto lodevoli, le sue idee sembrano irrealizzabili: nel 2019 negli Usa sono stati prodotti 900 mila litri di Saf a fronte di un fabbisogno annuo di 813 mln. Difficile centrare l’obiettivo. Un’altra strada per voli più green deriva dall’idrogeno, un carburante a zero emissioni. Nel settembre 2020, la start-up ZeroAvia ha effettuato il primo volo alimentato da celle a idrogeno. Nello stesso mese Airbus ha annunciato la costruzione, entro il 2035, di tre velivoli a idrogeno, ciascuno in grado di ospitare fino a 200 passeggeri. E nel 2041 potrebbe decollare il primo Flying-V, un velivolo ispirato all’iconica chitarra Gibson che, grazie alla sua innovativa forma a V, consuma meno carburante, anche se deve destinare il 70% del suo spazio allo stoccaggio dell’idrogeno. Il problema è che l’idrogeno non è “pratico” in quanto, per restare liquido, va raffreddato a -253°. Ciò significa che: i serbatoi devono essere ben isolati, le pompe e i tubi progettati per non congelarsi e che negli aeroporti si adottino nuove procedure di rifornimento e sistemi di stoccaggio ad hoc. Inoltre, a parità di energia prodotta, occupa uno spazio quattro volte superiore al cherosene, riducendo lo spazio dedicato ai passeggeri. E poi c’è la questione delle emissioni.

L’idrogeno non è necessariamente “verde”: dipende da come è ottenuto. Se deriva da gas naturale, non lo è perché il procedimento crea gas serra; se si ottiene tramite elettrolisi, ovvero la scomposizione dell’acqua in idrogeno e ossigeno, è green a patto che l’elettricità necessaria provenga da fonti rinnovabili. E benché Airbus affermi di contare su un’elettrolisi alimentata da impianti eolici o solari, sembra difficile che questo avvenga su larga scala. Ma c’è un altro modo per ridurre l’impatto climatico dell’aviazione: evitando le condizioni per la formazione di scie di condensazione. Queste strisce di vapore acqueo, fuoriuscito dagli scarichi, intrappolano il calore solare, riscaldando l’atmosfera e amplificando il contributo complessivo dei voli al riscaldamento globale fino al 7-8% del totale. Uno studio pubblicato nel gennaio 2021 sulla rivista Atmospheric Environment ha evidenziato per la prima volta come il 2% dei voli, effettuati in particolari condizioni di umidità e temperatura, da solo abbia contribuito all’80% del riscaldamento connesso alle scie. Basterebbero perciò pochi cambiamenti sull’altitudine di questi pochi voli per ridurne l’impatto.

Illustrazioni: Giorgia Bacis. Fonte: Sky NRG

L’autorità per l’aviazione dell’Ue, Eurocontrol, sta valutando nuovi metodi operativi che evitino le scie di condensa. Ed entro dieci anni, prevede Marc Stettler, docente di Trasporto e ambiente all’Imperial College di Londra, è certo che «nel processo di pianificazione della rotta si considereranno sia il consumo di carburante sia la possibilità di formare scie di condensa». Nel frattempo, le associazioni di ecologisti avanzano proposte pragmatiche per evitare che i costi della transizione ecologica del settore aereo, stimati in 1,55 trilioni di $ dall’International air transport association (Iata), siano scaricati su tutti i passaggeri. Tra i suggerimenti spicca una tassa sui frequent flyers: escluso un viaggio a/r all’anno, l’imposta cresce insieme al numero di voli. Perciò nel marzo 2021 la charity inglese Possibile ha pubblicato un report sui “viaggiatori seriali”. Ne è emerso che negli Usa il 12% delle persone ha preso il 66% dei voli; in Francia il 2% è salito sul 50% dei voli; in Cina il 5% ha preso il 40% degli aerei e in India l’1% ha effettuato il 45% dei voli. In parallelo agli sforzi green delle compagnie, che sia davvero il caso di tassare alcuni per respirare tutti?

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