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Ago, filo e politica

Per lungo tempo alle donne, diversamente dagli uomini, non è stata concessa una stanza tutta per loro per poter scrivere, o una tela sulla quale dipingere. Erano concessi ago e filo, però. Così, il ricamo, per secoli relegato all’universo domestico e femminile, da passatempo o da arte minore decorativa è diventato una forma artistica di espressione capace di testimoniare e preservare identità etniche, culturali, politiche, sociali, in grado di denunciare pacificamente l’oppressione e rivendicare il diritto alla propria esistenza e alla protesta. Un esempio che si ricollega alla cronaca di questi tempi? Nel 2021 il Tatreez, l’arte tradizionale del ricamo palestinese, è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio immateriale e intellettuale dell’umanità. Praticato da oltre 3 000 anni, è stato consacrato come un simbolo di resistenza. Dopo la Nakba del 1948, quando centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti all’esilio, il ricamo palestinese tipico è diventato un metodo non violento ad alto impatto mediatico di rivendicazione dell’appartenenza di quel popolo a quella terra. Ogni città ha i propri simboli e codici colore, così che leggendo i ricami sulla thobe (tipico abito palestinesi) si può intuire la città di provenienza di chi lo indossa. La palma, per esempio, è tipica di Ramallah, la stella di Betlemme. E oggi le giovani palestinesi li sfoggiano su TikTok. Il Tatreez ha poi contagiato organizzazioni e brand. Deerah, che collabora con i campi profughi in Giordania, dichiara di usarlo per “decolonizzare” la moda. Il collettivo Badan, fondato da Bayana Fares, lo insegna ai palestinesi della diaspora per preservarne la tecnica artigianale. Mentre Tatreez Sisters lo usa come simbolo d’identità nazionale, destinando il 10% dei profitti al Palestine International Medical Aid (Pima). La Palestina, tuttavia, non è l’unico luogo dove il ricamo è una forma di resistenza. La storia è costellata di esempi. Durante la dittatura militare in Argentina, le Madri di Plaza de Mayo iniziarono a protestare per i loro figli desaparecidos indossando fazzoletti bianchi su cui avevano ricamato i nomi dei figli scomparsi. Questo gesto trasformò un simbolo domestico in un potente strumento di protesta pubblica, sfidando apertamente il regime.

le creazioni firmate pairi daeza, brand delle sorelle nastaran e yasaman rezaee.

Alla nascita a inizio ’900 dei movimenti femministi in Inghilterra, le Suffragette si appropriarono di uno dei simboli di marginalizzazione femminile nella società per rivendicare il desiderio di essere coinvolte: ricamando slogan femministi sugli stendardi per le manifestazioni, trasformarono quello che era considerato un hobby in uno strumento politico di rivolta contro l’oppressione patriarcale per rivendicare i propri diritti. Guardando ancora più indietro arriviamo alla Cina imperiale, quando alle donne non era consentito studiare ed erano obbligate a condurre una vita ritirata tra le mura familiari. Così per poter comunicare tra loro inventarono un linguaggio segreto sconosciuto agli uomini, il Nü Shu, letteralmente “scrittura delle donne”. Una lingua non parlata ma ricamata su vestiti e stoffe che passavano di casa in casa consentendo loro di comunicare senza farsi scoprire. Oggi le stoffe ricamate che sono state conservate sono considerate uno strumento fondamentale per conoscere la condizione femminile nella Cina imperiale, specialmente nelle zone rurali. In un contesto di severa segregazione di genere, il Nü Shu permise alle donne di esprimere i propri pensieri, aggirando le restrizioni culturali. Cadde in disuso quando alle donne fu concesso di accedere all’istruzione e ancor più all’epoca di Mao Zedong e della Rivoluzione culturale, che lo mise al bando in quanto “lingua delle streghe”. Dal 2006, il Nü Shu è nella lista dei patrimoni immateriali della Cina.

le creazioni firmate pairi daeza, brand delle sorelle nastaran e yasaman rezaee.

Pairi Daeza, un brand italo-iraniano fondato da Yasaman e Nastaran Rezaee, combina l’artigianato iraniano con la qualità sartoriale italiana. Dall’antico persiano, il suo nome sta per “giardino recintato”, da cui il nostro termine “Paradiso”. Tra le tecniche utilizzate nelle collezioni c’è il ricamo Balochi, riconosciuto anche dall’Unesco. Esso risale a oltre 2 500 anni fa ed è legato al gruppo etnico Baloch, distribuito tra Iran, Pakistan e Afghanistan. Nonostante le pressioni verso l’omologazione culturale, il ricamo Balochi ha preservato l’identità culturale dei Baloch, diventando un simbolo di resistenza di questa minoranza allo Stato. Pairi Daeza si impegna a mantenere vive queste tecniche di ricamo e tessitura artigianale, collaborando con artigiane iraniane e offrendo loro una possibilità di sussistenza. Così, non soltanto valorizza un patrimonio culturale a rischio di estinzione, ma sfida le narrative omologanti imposte dai regimi locali e si impegna per i diritti delle donne e delle minoranze. Dopo la morte di Mahsa Amini nel 2022 e la nascita del movimento Donna, Vita, Libertà, le sorelle Rezaee si sono espresse politicamente collaborando al film Iran-e Man e ora non possono più rientrare in Iran dove ancora vive la loro famiglia perché metterebbero la loro vita a rischio. Il ricamo è un potente strumento di resistenza politica e culturale: mentre le sue trame raccontano storie di oppressione e diaspora, tessono anche fili di solidarietà e identità.

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