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Centrale Fies

Centrale Fies e i suoi corpi elettrici

Si mangia tutti insieme all’aperto, sotto il tendone bianco montato in giardino, da una parte il fiume Sarca che rotola a valle e dall’altra il tubo obliquo che, saltando giù da 60 m, convoglia le acque del Lago di Cavedine verso l’unica area off-limits dell’edificio, lì dove la turbina continua a girare e a produrre energia. A cucinare, Giulia e Georgia: la prima è romana, la seconda australiana; oggi hanno preparato ribollita, frittata e verdure assortite. Si mangia mentre la coreografa Chiara Bersani arriva tra baci e abbracci, mentre Valeria Raimondi ed Enrico Castellani di Babilonia Teatri salutano e se ne vanno, mentre si discute di “Feminist Futures”, rassegna giunta al terzo appuntamento e che nel fine settimana farà il pieno con il suo programma di performance, workshop e clubbing notturno. Tra i partecipanti: Selma Selman, Thais Di Marco, Stina Fors, Hatis Noit… Ecco, se non fosse incastonata in mezzo alle alture del Trentino, ai piedi di pareti rocciose orgogliosamente verticali e tra i massi delle Marocche – la più grande frana postglaciale ad aver interessato l’intero arco alpino –, insomma se non fosse per la cornice in cui ci troviamo potremmo dire che Centrale Fies è un porto di mare. Qui, ogni anno salpano e approdano decine e decine di art workers provenienti da ogni parte del mondo, un’avanguardia creativa che i fondatori Dino Sommadossi e Barbara Boninsegna, coadiuvati da un team a geometria variabile, supportano da un triplice punto di vista: curatoriale, produttivo (attraverso residenze d’artista, grandi sale attrezzate e aree di coworking) e organizzativo (e quindi fundraising, assistenza amministrativa, networking). 

Centrale Fies

little fun palace, la roulotte simbolo della compagnia oht di filippo andreatta.

Centrale Fies

installazioni di josefa ntjam e joar nango (2021).

Centrale Fies è due cose allo stesso tempo: un polo di ricerca per le pratiche performative contemporanee – e in particolare per quegli spettacoli che fanno del corpo umano il principale fulcro espressivo – ed esempio virtuoso di riutilizzo del patrimonio archeologico industriale. Risalente al 1911 – epoca in cui da queste parti ancora sventolavano i vessilli dell’Impero austro-ungarico – l’edificio venne costruito su iniziativa della Società Industriale Trentina (Sit) per ospitare uno dei primi impianti idroelettrici della regione. Durante il boom economico, con la nazionalizzazione del settore, passa sotto il controllo dell’Enel (oggi è di proprietà di Hydro Dolomiti Energia, società del Gruppo Dolomiti Energia). Nel 1961, però, entra in funzione un nuovo stabilimento a Torbole (più a sud, vicino al Lago di Garda) e la centrale di Fies (frazione del Comune di Dro) perde d’importanza, continuando a “girare” soltanto in piccola parte. Un cono d’ombra e di polvere da cui uscirà tra il 1999 e il 2000, quando i locali inutilizzati verranno messi a disposizione della comunità. Prende così forma la nuova vita di questo luogo, che con la sua torre quadrata, la facciata possente e i profili merlati pare davvero una fortezza d’altri tempi. È il momento in cui entrano in scena Sommadossi e Boninsegna, animatori dal 1980 del festival Drodesera, che attraverso la cooperativa Il Gaviale ottengono un comodato d’uso (ventennale) per organizzarvi festival e manifestazioni culturali: “Centrale Fies” la ragione sociale scelta per l’impresa, «che prosegue le sue attività grazie ai finanziamenti di Hydro Dolomiti Energia e al sostegno della Provincia autonoma di Trento», spiega Dino, ricordando anche i fondi accantonati quando queste mura, per otto anni, hanno ospitato la convention di VeDrò-L’Italia del futuro, il think tank bipartisan promosso da Enrico Letta (poi premier e segretario Pd) e Giulia Bongiorno. 

Centrale fies

untitled (2021) di paolo dellapiana nella ex sala comando della centrale.

Centrale Fies

performance durante storia notturna (2020).

Dino ci racconta tutto mentre facciamo su e giù per la centrale. Attraversiamo i grandi ambienti destinati agli spettacoli e agli eventi (come la sala Mezzelune, la sala Comando e quella delle Turbine, la più ampia, con due tribune mobili telescopiche da 193 e 147 posti) e finiamo sul tetto, che per ora è una distesa di materiale isolante ma che in futuro – se la pratica della ristrutturazione si sblocca – diventerà un altro spazio a disposizione di artisti e curatori: come Filippo Andreatta, che ci fa compagnia in questa visita guidata. Nato a Rovereto nel 1981, è il più conosciuto tra quelli che qui hanno mosso i primi passi. Fondatore nel 2008 della compagnia Oht, Filippo ha firmato alcuni spettacoli degni di nota come Curon/Graun, Rompere il ghiaccio e Frankenstein. Quest’anno ha portato Little Fun Palace anche sulla pista del Lingotto, a Torino: è il progetto-simbolo di Oht, una vecchia roulotte adibita a «padiglione portatile, luogo effimero di aggregazione, forum mobile di confronto e discussione». Filippo indaga il tema delle memorie locali e del paesaggio, e quando usciamo confessa che ora gli piacerebbe fare qualcosa sulle nuvole e sulla loro simbologia: raccontarle, rappresentarle… Mentre lo dice, guardiamo insieme il vapore che si addensa in forme instabili sul Monte Brento, da dove si staccò la grande frana dopo il ritiro del ghiacciaio atesino.Poi ci voltiamo e andiamo a gustarci la ribollita di Giulia e Georgia.

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