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Guadagnino

Il “doppio” Guadagnino, regista di film e d’interni

Una grande dimora del XVII secolo leggermente decaduta, perduta nel cuore della campagna lombarda, nella quale rifugiarsi per cenare sulla terrazza nella bella stagione o per leggere nella biblioteca tappezzata di opere d’arte e di letteratura… Se la storia di Call Me by Your Name (2017) ha sedotto un pubblico ampio, a colpire gli spettatori sono stati anche gli scenari in cui è ambientata. Per molti il film è stato l’occasione per scoprire Luca Guadagnino e le sue sublimi ambientazioni, ideate con scenografi e designer di produzione, mentre i cinefili conoscevano già il regista per i suoi film dall’estetica curatissima. Diciamolo: Luca Guadagnino, che ha portato le proprie stoviglie e altri accessori sul set di Call Me by Your Name, ha il senso del dettaglio. Da Villa Necchi Campiglio del milanese Piero Portaluppi che fa da ambientazione a Io sono l’amore (2009) all’austerità ispirata al Bauhaus in Suspiria (2018), alla casa in pietra a secco aggrappata alle pendici dell’isola vulcanica di Pantelleria in A Bigger Splash (2015), gli scenari hanno spesso contribuito al successo dei film di Guadagnino. Ognuno è il pretesto per un’immersione in ambienti sublimi, preferibilmente in Italia. Un buongusto che il regista (nato a Palermo il 10 agosto 1971, cresciuto nei primi anni di vita in Etiopia, ad Addis Abeba, prima di rientrare in Italia) mette anche al servizio della sua agenzia di architettura d’interni.

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Per gli scenari di call me by your name, Luca Guadagnino ha portato sul set del film alcuni suoi oggetti domestici.

Un’attività nata quasi per caso, questa. Nel 2016, quando il magazine T del New York Times pubblica alcune foto della sua casa lombarda a Crema, Luca Guadagnino confida alla giornalista il suo sogno di una carriera da interior designer. Un articolo letto con attenzione da Federico Marchetti, fondatore di Yoox e Net-A-Porter. E preso alla lettera. L’imprenditore, che aveva appena acquistato un’ex fabbrica tessile sulle rive del lago di Como per farne la sua casa, contatta il regista. «Vedeva in me qualcosa che io non vedevo. Non avrei mai osato propormi per un lavoro tanto importante in una casa di famiglia. Ma lui ha insistito», ha spiegato Gudagnino a How To Spend It, il mensile del Financial Times. «Casa Marchetti è così diventata il mio primo progetto professionale, un complesso di due edifici e un giardino, un’esperienza molto formativa per me. Era un po’ folle, ma ho accettato. Ho chiamato Giulio Ghirardi, un fotografo con cui avevo già lavorato, per chiedergli se poteva aiutarmi. Abbiamo ingaggiato altre due persone e, in sei mesi, l’agenzia era nata», racconta Luca Guadagnino, che riunisce 150 artigiani italiani per realizzare la sua prima opera dagli accenti vintage, inframezzata da una scala a spirale e da un padiglione sotterraneo con vasca. Sedotto da questo primo complesso, terminato nel 2018, Federico Marchetti gli affida poi il suo appartamento milanese. Oggi il regista-architetto d’interni divide il proprio tempo tra le due attività e si ritrova alla guida di un gruppo di lavoro composto da 16 persone (tra architetti, arredatori e designer) che si occupa di progetti sia residenziali sia commerciali. «Il mio team ha sede a Milano, io invece lavoro ovunque perché sono sempre in viaggio. Quello che mi piace più di tutto è lavorare da La Ceriana, la mia casa in Piemonte», specifica Guadagnino, che risponde appunto alle domande da questo suo rifugio fuori dal comune, restaurato per anni con il suo studio. «Questo progetto è per me importantissimo ed è emblematico del mio lavoro, perché è basato sull’idea della conservazione dei materiali storici. Allo stesso tempo, non riesco a immaginare qualcosa di più stravagante di questa immensa dimora circondata da un parco altrettanto gigantesco. Va detto che sono consapevole da chi ho preso: anche mio padre era assolutamente stravagante… Era originario del profondo Sud dell’Italia e ha sposato una donna a Casablanca, prima di trasferire tutta la famiglia in Etiopia».

Guadagnino

Federico Marchetti ha affidato a luca guadagnino la cura di quelli del suo appartamento milanese

L’approccio di Guadagnino è fortemente segnato dalla sua vicenda personale. Nato da madre algerina e padre siciliano, che insegnava storia e letteratura italiana, Luca Guadagnino è – come abbiamo acccennato – cresciuto in Africa. «Ad Addis Abeba vivevamo in una casa con un grande giardino, molti animali e il cielo africano per orizzonte», racconta. Ricorda delle sue prime uscite al cinema, degli edifici costruiti dagli italiani durante l’esperienza coloniale del Paese, in stile fascista-modernista. Un’epoca che lo ha influenzato quindi doppiamente, anche attraverso l’architettura. «L’Etiopia mi ha formato visivamente. La mia famiglia vi si è trasferita quando avevo appena un mese, e là ho vissuto fino a cinque anni. Un’esperienza fondante, per me, quanto a luce, spazi, ambiente selvaggio…». Anche Palermo e i suoi vibranti contrasti hanno esercitato su di lui una fascinazione degna di nota. Fin dalla più giovane età, a casa sperimenta, cambia posto agli oggetti del salotto della mamma e scopre che lo spostamento di un componente d’arredo può modificare in profondità l’identità di uno spazio. Quando gli si chiede che legame esiste tra le sue due attività, lui è chiarissimo: «Quasi nessuno. Si potrebbe pensare che il lavoro sullo spazio sia simile, ma in realtà non è affatto così. Si passa dal 2D al 3D, e questo lavoro sugli ambienti offre una prospettiva completamente differente dalla mia pratica di regista». Fra quanti gli hanno dato fiducia c’è la marca di cosmetici Aesop, per cui la sua agenzia ha firmato i negozi di Roma e Londra. Ma Guadagnino e il suo team hanno anche parecchi clienti privati, che apprezzano il suo design contemporaneo venato da ispirazioni italiane moderniste – ma preferiscono la discrezione. «Amo molto il grande architetto Umberto Riva, deceduto un paio di anni fa, e venero profondamente Guglielmo Ulrich, Carlo Scarpa o Gio Ponti», spiega. Oltre a questi architetti italiani, ammira il lavoro degli americani Philip Johnson e Charles Eames. «Mi sembra importante avere questo atteggiamento di ammirazione nei confronti degli altri creatori; bisogna accettare di essere influenzati». In cinque anni, lo studio si è guadagnato una bella fama e si è trovato catapultato nell’elenco dei 100 designer che contano stilato dall’editore Phaidon nel volume By Design. The World’s Best Contemporary Interior Designers, che sottolineava «la padronanza dell’idea narrativa, dello spazio, del colore e della storia negli interni di Guadagnino, proprio come nei suoi film». Caratteristici dell’interior designer Guadagnino sono anche la sua cultura e i dialoghi che instaura con i clienti. «Mi piace creare ambienti nella loro totalità e integrare opere d’arte nei miei progetti. Però non considero l’arte come un mero elemento decorativo: mi piace quando le opere possono stravolgere uno spazio, creare un caso, iniziare una polemica», afferma il creatore, che riassume così la propria impronta: «Amo la geometria e il colore, l’artigianato, l’attenzione ai dettagli. Certo, voglio far sentire la mia voce attraverso gli spazi vissuti dai miei clienti, ma non imporla: è un dialogo tra me, loro e gli ambienti. Discuto molto, ascolto i loro desideri, i loro sogni, mi informo sulla storia della casa, del quartiere, della regione. Non credo ai luoghi generici, credo alla pratica dell’architettura d’interni e dell’arredo specifico. Ogni spazio deve essere adatto al cliente, a una famiglia o al retaggio di una marca, se si tratta di un luogo che deve accogliere il pubblico. Propongo soltanto progetti molto specifici, e anche se spero che la mia casa sia abbastanza accogliente perché i miei amici possano trovarcisi bene, deve per prima cosa andar bene a me!». Così, quando ha iniziato a lavorare per Dennis Paphitis, il fondatore del marchio Aesop, prima ancora di considerare le necessità aziendali i due hanno discusso per ore di cinema, e in particolare di Pier Paolo Pasolini. Una relazione intima che permette di comprendere meglio i desideri profondi dei clienti e di proporre dettagli precisi derivanti da questi scambi informali.  Uno stratagemma amato da Luca Guadagnino nel suo lavoro sta nei giochi di tensione tra le texture dei materiali impiegati. Per esempio, proprio nel negozio romano di Aesop (2018), lana e seta vanno a dialogare sul pavimento della boutique, impreziosito da pietra grezza, marmo rosa e paglia. Gli oggetti sono realizzati a mano su misura dai migliori artigiani. «Amo l’autenticità dei materiali, l’idea di piegare, curvare la materia e riflettere su come questo gesto influenzerà la vita quotidiana», spiega il designer, persuaso che l’artigianato sia alla base di tutto. «Le persone parlano di ideali e di idee, ma la fisicità, la fabbricazione di qualcosa di reale, è una dimensione incredibile». 

Installazione accanto al fuoco / by the fire, realizzata dallo studio Guadagnino per il salone del mobile di milano 2022.

Dennis Paphitis ha affidato a Guadagnino l’arredamento del negozio Aesop di Londra

Dopo cinque anni di collaborazioni, e forte di un’expertise che si è perfezionata di progetto in progetto, nel giugno 2022 Luca Guadagnino ha presentato, in occasione del Salone del Mobile di Milano nell’elegantissimo quartiere di Brera (nello Spazio Rt), l’installazione Accanto al Fuoco/By the Fire, un salotto scisso in due con uno sbalorditivo gioco di simmetria/asimmetria: a un lato della stanza, uno spazio dalle linee essenziali, decorato con un caminetto italiano in Ceppo di Gré su uno sfondo di quercia, granito e velluto blu; al lato opposto, uno spazio massimalista, con il suo caminetto di ceramica circondato di travertino rosso e velluto della stessa tonalità. Un’occasione d’oro per svelare al grande pubblico i mobili progettati dallo studio, come i tavolini bassi di travertino rosso iraniano a incastro o il camino in Ceppo di Gré. «Creo costantemente mobili per i miei clienti, disegno molto e butto molto; poi, tutto a un tratto, conservo uno schizzo, che viene successivamente sviluppato dal mio team». Creazioni associate a mobili vintage da lui scovati, come la poltrona Digamma prodotta da Gavina (1957), completata da un’ottomana della sua collezione personale. È in questa occasione che lo studio, abituato a consegnare mobili su misura, ha cominciato a mettere un piede nel mondo della produzione con una lampada realizzata da FontanaArte. «Un’esperienza che mi ha fatto venire voglia di proseguire su questa strada del disegno di mobili per le aziende di settore», afferma il creatore che, nonostante i suoi impegni in ambito cinematografico, moltiplica i progetti di arredo. «Stiamo ultimando un albergo che aprirà a Roma quest’anno, la hall e il bar di un’azienda di gestione talenti a Hollywood, e poi una villetta Art Nouveau a Venezia. Lavoriamo anche su una galleria d’arte virtuale nel metaverso», specifica Luca Guadagnino, che prosegue citando anche un attico a Milano e una villa sul lago di Como. In compenso, niente partecipazione al Salone del Mobile, quest’anno. «Non voglio che si trasformi in un obbligo, in un appuntamento fisso. Preferisco intenderlo come una risposta a un desiderio particolare, quando siamo pronti…», spiega. Sei anni dopo i suoi inizi, quale sarebbe, oggi, il progetto dei suoi sogni? «Costruire una casa, non soltanto i suoi interni. Immagino un’architettura dentro/fuori che offra una permeabilità tra esterno e interno, come una casa intorno a un chiostro».

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