VibrationsMusica, dentro la rivalità tra Jimi Hendrix e Pete Townshend

Musica, dentro la rivalità tra Jimi Hendrix e Pete Townshend

Monterey, California
Domenica, 18 giugno 1967

Nei camerini dell’International Pop Festival, Pete Townshend è visibilmente irritato. Ha deciso di affrontare l’amico/nemico Jimi Hendrix dopo aver saputo che gli organizzatori vogliono far chiudere (per altro giustamente) la prima, grande, “tre giorni” della storia del rock ai due gruppi più attesi e acclamati: i suoi The Who e The Mamas & The Papas, il quartetto californiano che ha dato vita alla formidabile kermesse. Per Townshend questo significava che la Jimi Hendrix Experience, band al debutto ufficiale negli States, si sarebbe esibita prima di loro. “E così tutti diranno che gli abbiamo copiato lo show”, aveva pensato il chitarrista/leader degli Who riferendosi al fatto che, come loro, Hendrix era solito concludere i propri concerti con la distruzione degli strumenti, una sorta di rito catartico mai visto prima sui palchi rock. 

Alle lamentele del musicista inglese, John Phillips dei Mamas & Papas, direttore artistico del festival, aveva risposto con un pilatesco “Vedetevela tra di voi…”.  

E così Townshend è ora lì, di fronte a Hendrix, per provare a convincerlo: vuole che accetti di esibirsi dopo gli Who. Jimi ascolta in silenzio le motivazioni di Pete. Sta suonicchiando la sua Stratocaster e sembra proprio non dargli retta anche se, a uno sguardo più attento, si capisce che sta pensando a qualcosa del tipo: “Ehi amico, non fare il furbetto con me…”. 

A un certo punto, Jimi smette di suonare, guarda Townshend e gli dice: “Ok, lasciamo che sia il fato a decidere: facciamo a testa o croce…”. 

La fortuna sceglie gli Who, che salgono sul palco per primi e, al termine del loro set, sul finale di My Generation, procedono al loro classico rituale, sbalordendo il pubblico hippie di Monterey: tra fumogeni colorati e suoni distorti, la chitarra di Pete Townshend va in frantumi, così come il kit di piatti e tamburi di Keith Moon.

Intanto, nel backstage, Jimi Hendrix si sta concentrando su una stravagante operazione… “Aveva un pennello in mano e stava dipingendo la sua chitarra”, ricorda Eric Burdon, voce degli Animals. “Sembrava un guerriero Navajo che si prepara alla battaglia”. 

Dopo l’appassionata presentazione del suo amico Brian Jones, Hendrix inizia il suo set, una mezz’ora (s)travolgente che si conclude in modo letteralmente incendiario. Sulle ultime note di Wild Thing, Jimi appoggia la chitarra a terra, si china su di lei mimando un amplesso per poi estrarre dalla tasca una boccetta di alcol: la spruzza sulla sei corde e le dà fuoco… La Fender emette ululati di piacere, prima che Hendrix la impugni scaraventandola contro il gigantesco amplificatore Marshall, aumentandone così il feedback, per poi finire il lavoro picchiandola con forza per terra sino a che si spacca in più pezzi, che lo stesso Jimi offre al pubblico incredulo. Il sacrificio si è concluso e lo stesso Townshend è costretto alla resa: “Ora capisco perché di me dicono che sia violento mentre di Hendrix sostengono che sia erotico”.

All’origine della rivalità tra Jimi Hendrix e Pete Townshend

La rivalità tra i due “litiganti” era nata qualche mese prima, l’11 gennaio, quando Hendrix si era esibito al Bag O’Nails, uno dei locali più in voga della Swinging London, di fronte a una platea di vip tra cui Paul e Ringo, Bill Wyman, Eric Clapton e… Pete Townshend. Proprio gli ultimi due, scioccati da quella performance, ammisero: “Abbiamo un problema…”. Già, perché se in quei giorni su qualche muro di Londra era comparsa la scritta “Clapton is God”, ora il dio delle sei corde sembrava proprio essere un altro.

Le sfide tra chitarristi hanno origini lontane. Nella seconda metà degli Anni 30 uno dei grandi idoli di Hendrix, Clapton e Townshend, il leggendario bluesman Robert Johnson, era solito combattere a colpi di sei corde sui marciapiedi di Helena, Arkansas, con il rivale Johnny Shines per accaparrarsi la “clientela”, e cioè i passanti che lasciavano nei rispettivi cappelli dei duellanti le mance più laute. Johnson, chitarrista inizialmente modesto, si era trasformato nel giro di poco: qualcuno aveva messo in giro la voce che avesse fatto un patto con il diavolo. E che una notte, a mezzanotte, si fosse recato all’appuntamento demoniaco. Satana si era presentato puntuale all’incrocio tra due strade statali in prossimità di Clarksdale, Mississippi, e aveva stipulato il contratto fatale: il talento artistico in cambio dell’anima. In pochi mesi, Robert Johnson aveva registrato 29 blues, stregato gli appassionati (più dozzine di donne) ed era morto, avvelenato da un marito geloso, a soli 27 anni, peraltro non lontano dal luogo in cui aveva incontrato il diavolo. È così che è entrato nel mito. 

Nel 1986, il regista Walter Hill dirige Crossroads, un film ispirato dalla leggenda di Robert Johnson e che vede, nella scena clou, uno dei più famosi duelli chitarristici di sempre: quello fra il nuovo fenomeno Steve Vai (che incarna la figura del diavolo) e un giovane bluesman (interpretato da Ralph Macchio) che lo sfida a colpi di assolo per “recuperare” l’anima di un amico che aveva fatto con Satana lo stesso scellerato patto di Robert Johnson. Ai virtuosismi del demonio il giovane bluesman risponde con sensualissime note suonate con la slide (il vero chitarrista è il grande Ry Cooder, autore della soundtrack), per poi concludere con una versione prodigiosa de Il capriccio #5 di Paganini, il “violinista del diavolo”, che schianta l’avversario.

Crossroads, il brano di Robert Johnson che rimanda all’incontro demoniaco, è intanto diventato un brano di successo nella versione dei Cream, il super trio rock blues di Ginger Baker, Jack Bruce ed Eric Clapton. Proprio Clapton ha deciso di chiamare “Crossoroads” un centro di riabilitazione che ha fondato nel 1998 sull’isola caraibica di Antigua. Per raccogliere fondi a sostegno del rehab, da allora Clapton ha inventato il “Crossroads Guitar Festival”, il più importante evento di chitarristi al mondo. E su quel palco vecchi e nuovi “Guitar Hero”, da Buddy Guy a Joe Bonamassa, ogni anno si sfidano a colpi di 6 e 12 corde, perpetuando la leggenda…

Follow us

Iscriviti alla nostra Newsletter