
San Paolo: Sampa, megalopoli dalle infinite vertigini
Immerso nel fitto della selva urbana, lontano dalle palme da cartolina, ecco il tetto della torre Cubo Itaú, incubatore per circa 400 start-up nel quartiere di Vila Olímpia. Davanti a noi, elicotteri giocano a nascondino tra nuvole minacciose, un quadretto che ricorda più Gotham City che la terra del samba. Gustavo Carriconde, 49 anni, fende la fitta nebbia subtropicale. «San Paolo è un mercato chiave per il Brasile, ma anche per l’America Latina. I progetti che vogliono conquistare gli Stati Uniti o l’Europa devono passare da qui», dice questo ex pilota di linea, oggi consulente specializzato in finanziamenti alle start-up. Gustavo Carriconde ha introdotto il concetto di serendipità, il dono di fare scoperte fruttuose per caso, per descrivere l’ecosistema offerto dalla sua megalopoli. «La città è fatta per chi è disposto a stravolgere la propria vita», continua. In questa quotidiana partita a dadi, i settori più dinamici sono il fintech e le nuove banche. Queste ultime permettono ai paulisti di pagare tutto tramite il loro portafoglio virtuale, senza mai dover toccare la valuta vera e propria. Qui anche i venditori ambulanti sono dotati di Pix, il sistema di pagamento numero uno in Brasile, utilizzato dal 76% della popolazione. Sebbene l’indipendenza del Paese sia stata dichiarata sul suo suolo, San Paolo non è mai stata la capitale amministrativa. Ciò non le ha impedito di assumere lo status di capitale economica e finanziaria. Uno status indiscusso sin dall’industrializzazione della città un secolo fa. Oggi la più grande città delle Americhe, San Paolo fa parte di un’area metropolitana che ospita un decimo della popolazione di questo Paese dalle dimensioni di un continente. Più del 60% delle start-up e 22 dei 29 unicorni hanno sede proprio qui. In Brasile, “Sampa” (per gli addetti ai lavori) è per gli affari ciò che Rio de Janeiiro è per il turismo. Le due città, che distano appena 430 km l’una dall’altra e sono collegate da 120 voli giornalieri, si completano a vicenda più che competere. Il sindaco di Rio, Eduardo Paes, già da noi intervistato nel luglio 2023, ospita con orgoglio il Web Summit, il più grande congresso tecnologico del Paese. Soddisfatto di questa rara vittoria carioca nella battaglia commerciale, Eduardo Paes continua a invitare gli imprenditori a fare affari a San Paolo, per poi visitare le spiagge di Rio. Del resto, nessun brasiliano ignora lo slogan della capitale economica, che dal 1917 orna il suo stemma: Non ducor, duco – Non sono condotta, conduco. A pochi chilometri dagli eliporti e dai totem digitali di Vila Olímpia, gli edifici del centro storico testimoniano i fasti del passato. Tra questi, l’edificio Matarazzo ospitava gli uffici delle omonime fabbriche, che nel periodo di massimo splendore davano lavoro a quasi il 6% dei paulisti. Circa 20 anni fa, il Comune (la prefeitura) vi trasferì i propri uffici, in controtendenza rispetto ai grandi operatori economici che, dopo aver popolato l’Avenida Paulista a partire dagli Anni 80, hanno fatto rotta verso i quartieri Faria Lima e Pinheiros. È in un ufficio al sesto piano, con vista sul sontuoso teatro municipale, che il viceministro delle Finanze della città, Luis Felipe Vidal Arellano, riceve The Good Life. Secondo questo dottore in Diritto economico e finanziario, «il settore dei servizi è diventato il pilastro dell’economia paulista negli Anni 80. La città era cresciuta troppo ed era diventato impossibile mantenere le fabbriche», precisa. E prosegue: «I settori finanziario, bancario, amministrativo e delle nuove tecnologie offrono oggi posti di lavoro di qualità». Per saperne di più, dobbiamo immergerci nel lavoro del giornalista Roberto Pompeu de Toledo. Ci spiega come la città, arretrata rispetto alla costa, sia stata costretta a creare la propria ricchezza da sola, a differenza delle capitali storiche Rio e Salvador de Bahia, porti d’ingresso dei portoghesi. Alcuni ritengono che sia stato questo seme a far nascere il famoso spirito imprenditoriale dei paulisti, così marcato da diventare talvolta caricaturale. Una leggenda carioca vuole che non ci sia niente di più facile che riconoscere un paulista su una spiaggia: è l’unico che parla di affari, infatti.

la facoltà di architettura e urbanistica di joão batista vilanova artigas (1961).

sesc pompéia di lina bo bardi (1946).
Un gigantismo da capogiro
Questa “capitale della solitudine”, secondo le parole di Pompeu de Toledo, è diventata oggi la capitale della vertigine. Vertigine urbanistica: ovvia per chiunque abbia mai perso la strada in Avenida Paulista. Vertigine demografica, in una città che ha moltiplicato la sua popolazione per 20 in un secolo, passando dai 580 000 abitanti del 1920 agli 11,5 mln di oggi. Una vertigine che fa venire i sudori freddi. Leticia Sabino sottolinea che ben il 70% dei paulisti vivrebbe altrove se potesse scegliere. «Una delle chiavi è il modo in cui i residenti si appropriano dello spazio pubblico», aggiunge la fondatrice e direttrice dell’Ong Instituto Caminhabilidade, che organizza passeggiate per la città e ha promosso la pedonalizzazione domenicale dell’Avenida Paulista. La strada è stata ampliata dagli investimenti dei baroni del caffè ed è diventata un’icona della città. Posizione rafforzata dall’istituzione, nel 1958, del Museo d’Arte di San Paolo (Masp) nel 1958: «Questo viale ha sempre rappresentato il progresso di San Paolo. E oggi significa meno auto, più pedoni», taglia corto Leticia Sabino dal 17esimo piano dell’edificio Sesc, luogo di vita e cultura.
La culla delle avanguardie
Vertigine industriale, vertigine sociale, vertigine anche artistica, provocata dal fermento di Sampa, che ospita il più grande mercato dell’arte e la più grande biennale dell’America Latina. La megalopoli è la culla di ogni movimento d’avanguardia, a partire dal modernismo brasiliano, nato durante la Settimana dell’Arte Moderna, nel 1922. Sette anni dopo, una delle figure chiave di questo movimento, il poeta Oswald de Andrade, scrisse il suo Manifesto antropófago, un documento che invitava i brasiliani a “divorare” la cultura europea per impadronirsi del proprio futuro: “Prima che i portoghesi scoprissero il Brasile, il Brasile aveva scoperto la felicità”, vi si può leggere. «Quando uscì, il Manifesto suscitò un enorme scandalo, perché l’intellighenzia era dominata da élite bianche, generalmente conservatrici e di orientamento pedissequamente europeo», aggiunge Ana-Laura Prates, psicoanalista lacaniana. «Questo testo è la pietra miliare di una sorta di sovranismo culturale, seguito dal tropicalismo di Caetano Veloso, Gilberto Gil e altri… Poteva accadere solo a San Paolo». Per quanto riguarda la questione se il paulista di oggi sia un degno erede del Manifesto, Prates sfuma: «Non credo che i finanzieri che guardano agli Stati Uniti abbiano qualcosa a che fare con questa cultura. D’altra parte, i rapper della periferia, i Racionais MC’s [presenti su Netflix, ndr] divorano a loro modo la cultura urbana per prendere una posizione rispetto alla società». Più che un manuale di condotta, il Manifesto sembra essere stato un testo anticipatore. Da allora, la città ha divorato tutto ciò che si trovava sul suo cammino. Il suolo, il cielo e le persone ammassate via via che si espandeva.

il tempio buddista di lohan del quartiere (barrio) liberade, nel centro di san paolo

il mercato municipale multiculturale.
Tutti diventano paulisti
«La città ospita tutto il Brasile, tutte le razze, tutti i colori. È un crogiolo di culture. Puoi provenire da un’altra regione o da un altro Paese… qui tutti diventano paulisti», afferma Penha Maia, sarta e fondatrice del marchio Pó de Arroz, lei stessa originaria del nord-est del Brasile. La stilista e imprenditrice ha proposto una sfilata sull’interpretazione del Manifesto antropófago. «Questo effetto della città sui suoi abitanti non è solo positivo» continua Penha Maia. «Si lavora senza sosta e si perde una quantità folle di tempo sui trasporti. È quasi impossibile pianificare più di un incontro nello stesso giorno!» A soli 30 anni, Monique Evelle, anch’essa del nord-est, ha già avuto diverse vite. Imprenditrice dall’età di 16 anni e giornalista, si è data come missione quella di sostenere la nuova generazione di imprenditori attraverso Inventivos, una piattaforma di formazione, networking e investimenti. Dopo sei anni a San Paolo, Monique Evelle s’è liberata del suo ascendente. O quasi: «La sede centrale di Inventivos è a Salvador de Bahia. Ma metà dei miei clienti sono di San Paolo. Lavoro per decentrare gli investimenti e per dimostrare la vitalità di Salvador!».

il museo afro brasil nel parco ibirapuera.

il padiglione oca ospita mostre d’arte e i musei dell’aeronautica e del folklore.

il padiglione ciccillo matarazzo: museo d’arte contemporanea dell’università e biennale.
Gomito a gomito con New York
La storia di San Paolo è una storia americana. È la seconda consumatrice di pizza al mondo, superata soltanto da New York. L’impronta degli italiani è ovunque, dall’impasto pregiato della margherita agli edifici con il marchio Matarazzo. Dopo essere entrato nell’edificio che porta il nome di questa famiglia di industriali di grande successo, The Good Life ha potuto scoprire anche la Cidade Matarazzo, questo impero del lusso e dell’arte costruito sul sito di un ex ospedale specializzato in ostetricia abbandonato. Oltre agli italiani, sono i giapponesi a essere citati più spesso. A tre chilometri da questa oasi di cultura, i curiosi entrano nel quartiere Liberdade e assaporano la cucina popolare del Paese del Sol Levante. Oltre ai ristoranti, i giapponesi hanno allestito un museo che ripercorre la storia della loro immigrazione. È un’ode alle famiglie venute a coltivare la terra e a popolare la città. San Paolo divora tutto ciò che trova sul suo cammino. Sarebbe un errore pensare che la natura sia limitata ai pochi parchi nascosti in mezzo ai grattacieli, che compensano appena la mancanza di spazi pubblici: Ibirapuera, Aclimação, Ipiranga, Villa-Lobos. A ogni incrocio di viale, le radici lovecraftiane degli alberi minacciano di sollevare l’asfalto. La vegetazione tropicale non ha nulla a che fare con “la gente oppressa in coda” e “la forza del denaro che costruisce e distrugge le cose belle”, come evocato nella canzone Sampa, di Caetano Veloso. In qualsiasi momento, potrebbe riprendere il sopravvento. La presenza di sette villaggi indigeni nel comune di Jaraguá, nel primo anello periferico, ne è la prova. «Oggi i rapporti tra la città e i nostri villaggi sono pacifici», rassicura il cacique Márcio Bogarim, che visita il centro nevralgico della potenza economica brasiliana una o due volte alla settimana. L’Avenida Paulista dista solo 20 km dal suo villaggio e a Sampa la foresta pluviale e la giungla di cemento continuano a darsi battaglia, con i paulisti che osservano lo spettacolo senza sapere chi dei due finirà per divorare l’altro.