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Venezia

Venezia la città eterea e sensuale di Mariano Fortuny

Suo padre, emule di Francisco Goya, era stato il più acclamato pittore spagnolo dell’Ottocento, suo nonno aveva diretto il Museo del Prado. Lui, Mariano Fortuny y Madrazo (1871-1949), scelse Venezia per esprimere quella poliedrica personalità artistica nell’incisione su metallo, nella stampa dei tessuti, nella fotografia e scenografia, nel design dell’illuminotecnica e, in tarda età, anche nella pittura, dettando uno stile avanguardista che non ha mai smesso di affascinare. Due sono i luoghi lagunari, in particolare, in cui diede sfoggio di questa effervescente creatività materica: Palazzo Pesaro degli Orfei, dove abitò con la moglie Henriette Negrin, e l’isola della Giudecca, in cui si trovava e c’è ancora la fabbrica dei suoi tessuti. Oggi, mettersi sulle tracce di Mariano Fortuny significa ri-scoprire la sua Venezia sensuale ed eterea. Il viaggio deve cominciare però dal cinquecentesco Palazzo Martinengo sul Canal Grande, perché quella fu la prima abitazione lagunare di Fortuny e della sua coltissima madre Cecilia, che in quei saloni affrescati riceveva il beau monde dell’epoca, in un eclettico ritrovo per artisti e letterati di cui fece parte anche Marcel Proust. 

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palazzo pesaro degli orfei, venezia: i dipinti alle pareti nella casa-laboratorio artistico di mariano fortuny, ora museo

palazzo nani nel sestiere di cannaregio, adesso hotel di radisson collection

Palazzo Pesaro degli Orfei, dove i Fortuny y Madrazo abitarono per 60 anni, restaurato e riaperto come museo permanente nella primavera 2022, ammalia subito, appena entrati nel lungo portego del primo piano nobile, accolti dalle sbalorditive polifore aperte su campo San Beneto e rio di Ca’ Michiel. Questa casa-laboratorio dà l’immediata impressione di una factory teatrale tuttora calcata dal suo regista e attore principale, che ogni giorno ascoltava La Valchiria di Richard Wagner, altro eccellentissimo veneziano adottivo (morì esattamente 150 anni fa a Cà Vendramin, dove sarebbe sorto il più antico Casinò del mondo). Ecco, dunque, che vi si ammirano i tessuti antichi collezionati dalla famiglia e i teli di grandi dimensioni creati con il procedimento dell’impressione diretta, tramite matrici in legno. Si sbircia nell’intimità della coppia Mariano-Henriette, con quest’ultima che è la musa assoluta delle fotografie – esposte nelle sale laterali – stampate con una carta speciale capace di conferire l’aspetto materico dell’incisione. 

il giardino segreto palazzo fortuny

Sospesi tra la sensazione di trovarsi tra un boudoir e un atelier, si viene nuovamente sorpresi entrando in quella autentica wunderkammer o cabinet d’amateur che dir si voglia della biblioteca privata dai finestroni gotici: davanti a quella molteplicità di libri e oggetti, si capisce tanto di Mariano Fortuny, che prendeva ispirazione dall’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert così come da miniature, reperti archeologici raccolti negli armadi a ribalta insieme ad arazzi, costumi, armi e ceramiche. Anche il giardino d’inverno – con i divani, i medaglioni affrescati di ninfe nelle conchiglie, i vasi fioriti, gli affreschi agresti, i cippi romani in gesso – fa pensare che l’amico e poeta Hugo von Hofmannsthal sia ancora accoccolato tra quei cuscini. Usciti, camminando un po’, si possono raggiungere tanti luoghi amati e frequentati da Mariano Fortuny, dalla Casetta Rossa – Gabriele D’Annunzio la chiamava “la gabbietta del canarino” e durante la proprietà del principe austriaco Fritz Hohenlohe-Waldenburg divenne pensatoio elitario – alla Scuola Grande di San Rocco, dove i teleri di Jacopo Tintoretto vennero illuminati dalle lampade appositamente assemblate proprio da Mariano. E si può fare come Fortuny, l’artista nato a Granada, che adorava muoversi in barca insistendo negli scatti di fotografie panoramiche direttamente dai canali della città lagunare: così, dopo avere salutato la totemica pianta di Sophora japonica ai Giardini Reali di Venezia riaperti dopo l’illuminato restyling (nel neoclassico Padiglione del Caffè accanto al bambuseto si mangia volentieri, proprio di fronte al ponte levatoio che permetteva, agli Asburgo prima e ai Savoia dopo, di accedere alle Sale Reali, anch’esse appena restituite al pubblico nel percorso espositivo degli Appartamenti Reali del Museo Correr), ecco giunto, sul far del tramonto, l’orario giusto per lo sbarco all’Isola della Giudecca.

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Facciata della fabbrica fortuny accanto al mulino stucky

La prima meta è Riva San Biagio, sulla punta più estrema che lambisce il Mulino di quel Giancarlo Stucky che divenne socio di Fortuny nella fabbrica iniziata a costruire nel 1919 per la produzione esclusiva di cotoni. Se lo Stucky è ora un hotel della catena Hilton in mattoncini rossi con tanto di Skyline Rooftop Bar panoramico, l’officina di tessuti è ancora al suo posto e, su appuntamento, è possibile accedere allo showroom e ai giardini. A proposito di spazi verdi, tra poco si potrà di nuovo passeggiare nell’Orto del Redentore, un ettaro di terreno accanto all’omonima Basilica progettata da Andrea Palladio nel 1577. Il restauro, curato da Venice Gardens Foundation, permetterà di passeggiare di nuovo tra gli alberi da frutto, gli olivi, le erbe officinali, i fiori con i quali i frati cappuccini adornano da secoli gli altari. Mariano era un habitué. Così come, sempre in barca, gli piaceva infilarsi tra i canali del Sestiere Castello e soprattutto di Cannaregio, dove pulsa ancora il cuore ebraico del più antico ghetto al mondo. Sbarcare lì, significa avere il privilegio di scoprire che si può fare una spesa liberty all’ex Cinema Teatro Italia – ci andava sicuramente Mariano – diventato ora l’unico supermercato impreziosito da soffitti affrescati originali. Si può dunque concludere l’itinerario assaggiando i cicchetti, le “tapas” veneziane di pesce a quel bacaro in stile contemporaneo che è l’Osteria Ruga di Jaffa, per poi addormentarsi a Palazzo Nani, gioiello cinquecentesco giunto a nobilitare la collezione di Radisson: tra stucchi, concerti dei cantanti della Fenice e dipinti, anche Fortuny si sarebbe lasciato andare al più dolce dei sogni.

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