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Adama Sanneh

Adama Sanneh, a me un taccuino, solleverò il mondo

“Oggi viviamo nell’era della creatività”. Detta così, piatta piatta, l’affermazione ha un sapore effettivamente un po’ straniante. Il trionfo dei valori materiali e dei modelli ispirati a ciò che “si ha”, più che a ciò che “si è”, non rende proprio immediata questa definizione del nostro tempo. Chi la pronuncia, tuttavia, ha una certa familiarità col concetto di creatività. Adama Sanneh, infatti, è il presidente della Fondazione Moleskine, istituzione votata allo sviluppo proprio di questa capacità, intesa come strumento di cambiamento sociale.
«Nel passato recente il concetto di creatività ha assunto una valenza sempre più astratta ed è stato tendenzialmente relegato all’espressione artistica o, peggio, a partire soprattutto dagli Anni 80 e 90, al marketing e alla pubblicità», ci dice durante un incontro nella sede della Fondazione Moleskine, che sorge all’interno di Base Milano, l’incubatore di idee nonché centro culturale ibrido al servizio del capoluogo lombardo. E prosegue: «Per comprendere cosa intendo, vorrei partire piuttosto dall’etimologia originale della parola “creatività”, che deriva dal sanscrito Kar e ha una valenza poco astratta e molto concreta».
La creatività è sorgente d’idee, prospettive e soluzioni. È ciò che consente all’uomo di rompere lo status quo, immaginando un futuro dinamico. Si applica ai campi più disparati, che spaziano dall’arte alla scienza, dall’economia all’istruzione. È il carburante che alimenta l’esplorazione umana, la forza che continua a ridefinire il nostro mondo nelle maniere più impensabili. Ma la nostra percezione del concetto di creatività non è sempre stata monolitica e, nel tempo, ha subito molteplici evoluzioni: la cultura classica greco-latina, per esempio, tendeva ad ascriverlo esclusivamente alla divinità, cioè al Creatore, colui che fa dal nulla. Per vari secoli, inoltre, anche come prerogativa individuale, fu considerata un mero strumento della volontà divina. Più avanti, il concetto si allontana dal misticismo religioso e torna ad avere prerogative umane. Il Rinascimento conduce a una visione più laica permettendo, per esempio, la celebrazione del genio creativo di artisti come Leonardo da Vinci. Durante l’Illuminismo l’enfasi si sposta decisamente su razionalità e logica, finendo per assimilare l’idea di creatività alla capacità cognitiva d’inventare. Nel dopoguerra, infine, la parola viene addirittura mutuata dai mondi della pubblicità e dalla moda ed entra nel vocabolario corrente, non senza effetti collaterali.
«Oggi il termine creatività è depauperato e credo sia fondamentale fare un passo indietro per recuperarne il significato originario», premette Sanneh, prima di spiegare come l’avvento di Internet e la rivoluzione digitale ci abbiano permesso di superare la cosiddetta epoca dell’informazione lineare, quando l’accento era posto più che altro sulla quantità di dati e notizie a cui si aveva accesso. Oggi questo non è più sufficiente: ormai la chiave non consiste più nella mole d’informazioni a disposizione, perché quel che apprendiamo dopo un attimo rischia di essere già obsoleto. Per vivere nella contemporaneità, sostiene, occorre saper assorbire le informazioni in maniera dinamica, ovverosia trasformare i dati in conoscenza. Questo implica una rivalutazione dell’idea di creatività, intesa come distillato di pensiero critico, fare creativo e attitudine al cambiamento e all’apprendimento continuo. Nella precedente epoca dell’informazione, la creatività così intesa era considerata poco interessante, quasi pericolosa, per la sua carica sovversiva e la capacità di “disturbare” il processo lineare di apprendimento delle informazioni. Per questo è stata relegata a contesti marginali come l’espressione artistica. Ma «ora siamo entrati in una fase nuova, dove la creatività torna ad avere un ruolo centrale». Sanneh, infatti, sottolinea come il sistema educativo novecentesco fosse pensato per privilegiare l’omologazione. Per tanti anni, in effetti, ha dato i suoi frutti, allargando la base educativa e rendendola più standardizzata e universale. Nel momento in cui, però, l’evoluzione tecnologica ha subito un’accelerazione talmente dirompente da accorciare i cicli evolutivi e stravolgere tutte le previsioni, questo modello non basta più. La sovrabbondanza d’informazioni finisce col favorire una frammentazione della società. Allora l’individuo torna al centro della scena. Ma quali sono le capacità che gli sono più necessarie in questo contesto?

Adama Sanneh

amman, giordania: lo skatepark opera dell’organizzazione seven hills.

«Per adattarsi a contesti che cambiano rapidamente ed essere in grado di esercitare un ruolo attivo all’interno di una società democratica serve una nuova creatività. E questa sta nelle mani di chiunque decida di utilizzare la propria sensibilità e la propria esperienza in maniera trasformativa». Non è un caso che la parola creatività sia spesso associata con approcci multidisciplinari e sia tornata a essere evocata nei contesti più disparati: dagli studi dell’Unesco, alle raccomandazioni del Forum Economico di Davos.«Persino uno come Jack Ma (fondatore del colosso cinese del commercio online Alibaba, ndr), imprenditore di successo non certo famoso per le sue frivolezze, ne sottolinea l’importanza. Ho letto un’intervista in cui avverte che, se non insegniamo musica e poesia ai nostri figli, finiremo con l’essere dominati dalla macchine». Se da un lato la rivoluzione digitale ha portato a un apprezzamento più ampio e diversificato della creatività in varie forme, infatti, dall’altro ha trasformato ulteriormente il modo in cui questa è percepita. «Occorre sottolineare che la creatività non è mai stata una questione di risultato. Anche in campo artistico l’attenzione è sempre rivolta al processo trasformativo che si produce per raggiungere l’obiettivo più che all’obiettivo stesso. Oggi ci sono macchine che, grazie all’Intelligenza Artificiale, sono in grado di produrre risultati creativi, come musiche, immagini, testi. Ma dove le persone si trasformano, il linguaggio si costruisce e i cuori cambiano, non è nel risultato. È sempre nel processo». Spesso il termine creatività è usato come sinonimo di innovazione, ma Sanneh è assolutamente contrario a questa tendenza. Per lui la parola innovazione è stata asservita troppo a lungo all’ego personale di chi si arroga per primo il titolo di “innovatore”. Questo ha portato a un abuso che l’ha infine svuotata del suo potenziale. «Il concetto di creatività non deve necessariamente implicare una novità. Semmai un anticonformismo, una non convenzionalità. Il valore di un’idea non può essere legato alla carica innovativa, anzi. Io credo nella continuità di pensiero, nello stare sulle spalle di giganti, penso che le idee più creative possano impiegare anche centinaia di anni prima di prender vita».

mostra alla somali arts foundation per lo “human rights day” 2020.

anneh fa notare che certe trasformazioni epocali come la caduta del Muro di Berlino, hanno molto più a che vedere con la creatività di quanto s’immagini. «A costo di semplificare un po’, c’è chi dice che siano stati il teatro, la musica e la cultura a rendere possibile questo passaggio. Io condivido la tesi: è stata la costruzione di nuovi linguaggi che ci ha permesso di non perderci in quel momento». Poi cita un altro esempio. Recentemente ha partecipato a un forum sul cambiamento climatico. La maggior parte degli interventi ruotava attorno a studi scientifici, dati e sondaggi, ma la discussione rimaneva astratta e il pubblico distante. Subito dopo ha preso la parola un filosofo italiano, Leonardo Caffo, coinvolto proprio dalla Fondazione Moleskine in qualità di “pioniere della creatività”. La prima cosa che ha fatto Caffo è stata chiarire ciò che per lui significa cambiamento climatico, ovvero avere una relazione pericolosa con la Natura, una sorta di guerra che l’uomo avrebbe mosso alle altre forme di vita del Pianeta. «Questo ha cambiato immediatamente la struttura di tutto il forum. È bastato impostare il pensiero in modo diverso per vedere la realtà da un’altra prospettiva e trasformare l’atteggiamento di tutti».
Ma come si insegna questo modo di pensare creativo?
«Non è che te lo insegnano in un corso. È una capacità che si sviluppa favorendo il senso critico e l’immaginazione. Per questo noi sosteniamo progetti e organizzazioni che operano in aree svariate del mondo utilizzando la cultura come strumenti di cambiamento sociale».
Come scriveva il grande scrittore irlandese George Bernard Shaw, “l’immaginazione è il principio della creazione: le persone immaginano quello che desiderano, poi vogliono quel che immaginano e, infine, creano quello che vogliono”.

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