Architetture della “spaesanza”
Qualche settimana fa la foto di una casa con una parete da cui usciva una specie di fiore in muratura era diventata virale su un gruppo di appassionati di architettura. Tantissimi i commenti, prima entusiasti, quindi sospettosi, infine denigratori, una volta che si era capito che era stata fatta dall’Intelligenza Artificiale. Dovremo farci l’abitudine, vedere immagini di architetture pazzesche e pensare, belle, sì, ma finte. In queste pagine, invece, non è così. Le stranezze degli edifici potrebbe farvi pensare a un esercizio di immaginazione, invece no. Queste case esistono davvero e come tutte le altre sono fatte di muratura, legno, mattoni, strutture in acciaio e così via. La casa-duna negli Hamptons, la casa-nel-bosco in Sudafrica, la casa-tendone-da-circo in Giappone o le case-arcobaleno in Bolivia, sono vere e proprie installazioni d’arte formato edificio, dove si abita camminando tra pareti policrome, percorrendo stanze ricurve o addormentandosi mimetizzati in fitte foreste.
blue dream, la casa negli hamptons americani realizzata da diller scofidio + renfro (dsr).
Uomo batte macchina 1:0
Questi edifici sono un omaggio all’intelligenza creativa umana, al genio spericolato di progettisti che hanno fatto un passo nel mondo dell’architettura onirica, rimanendo tuttavia saldamente legati alla storia e alla realtà. Ne offre un esempio Freddy Mamani, con i suoi progetti in Bolivia. Sarebbe un errore considerarli solamente edifici curiosi dalle forme stravaganti. Perché dietro alle case Cholet da lui ideate, si nascondono non solo una storia e una tradizione, ma anche un grido di protesta. Mamani ha coniato il termine Cholet mescolando chalet e cholo, un termine spregiativo solitamente riservato agli abitanti dell’Altiplano boliviano. Il suo stile, in effetti, è fatto di sovrapposizioni tra funzioni differenti. Se a piano terra si trovano negozi, ristoranti o palestre, per esempio, al secondo piano c’è una sala da ballo, al secondo piano troviamo gli alloggi e, in cima, l’abitazione più lussuosa (lo chalet), riservata ai proprietari provenienti dalla nuova borghesia Aymarà, tra le principali nazioni indigene. Edifici ribelli nati per sostenere e sensibilizzare sulla cultura Aymarà e sulle condizioni socio-economiche del suo Paese, la Bolivia, il più povero dell’America del Sud. L’architetto autodidatta Freddy Mamani ha imparato a costruire dalle basi, come manovale a soli 13 anni e poi seguendo tutto il percorso di formazione sul campo della costruzione. Con i suoi edifici a livelli, colorati, geometrici e vivaci ispirati dai tessuti dei suoi antenati ha contribuito a trasformare El Alto, un tempo periferia-dormitorio della capitale boliviana, La Paz. Mamani si fa portavoce di una cultura che è anche un modo di vedere la realtà, lontana dagli studi “europeizzati” delle università di architettura e lontani dalle sue radici e dalla sua cultura. E la sua idea trova conferma nel 2006 dopo l’elezione a presidente della Bolivia di Evo Morales, proveniente dal popolo aymarà. I Cholet si diffondono come progetti autofinanziati, che si ripagano mettendoli in affitto: un’idea che si è dimostrata di successo perché Mamani ne ha costruiti più di un centinaio a El Alto, e anche in altre città della Bolivia.
freddy mamani con le sue case cholet rilegge l’estetica della popolazione indigena boliviana aymarà con effetti spiazzanti rispetto al contesto.
L’arte delle dune
Stesso continente, sempre in America, ma 6 300 km più a nord. siamo negli Hamptons, a est di New York, su Long Island, in un’altra casa sorprendente. Qui l’ispirazione arriva dalle dune del deserto che si mescolano con la progettazione aerospaziale. Architettura organica che sembra uscita da un dipinto, leggera come pennellate di vento, poetica eppure un gioiello di ingegneria. Una casa nata sul terreno prestigioso di una spiaggia di Long Island che per i proprietari doveva essere un’opera d’arte, dentro e fuori. Per loro i progettisti dello studio Diller Scofidio + Renfro hanno realizzato una sfida architettonica, un’opera d’arte, sì, ma abitabile. Per il progetto sono state create delle dune artificiali intorno alla casa, che fanno eco con quelle naturali all’esterno e danno dalla casa un aspetto di oasi ventosa in mezzo alla natura e allo stesso tempo la proteggono dalla vista, così da non disturbare l’uniformità architettonica delle ville adiacenti. Gli Hamptons sono una zona di villeggiatura molto amata dalla New York benestante. E proprio una coppia di business man e woman ha voluto questo progetto surreale. Dentro gli spazi sono generosi, in tutto oltre 700 mq: tutto è fuori misura e nulla si ripete, ad ogni passo cambia, imprevedibile e senza ripetizioni. Dune fuori e onde dentro, questo progetto organico eppure con un’anima tecnologica, è osmotico verso l’esterno, anche grazie alle grandi vetrate senza montanti, per un totale di oltre 90 finestre. Dimenticate quindi porte e corridoi, al loro posto le differenze di livelli diventano separatori tra gli spazi, le scale sono modellate direttamente nel cemento e le stanze si inseriscono una nell’altra fluide e organiche. Il tetto, una struttura in vetroresina e schiuma, si estende ininterrotto sopra lo spazio abitativo principale. Realizzato con 1/10 del peso di una struttura tradizionale in cemento e acciaio, la resina strutturale e la schiuma del tetto, stratificate, si allungano sopra gli spazi abitativi incorniciando la vista sulla spiaggia e garantendo l’ombra. Tutto è gigante, anche il mega tavolo da esterni voluto dai proprietari con 44 posti a sedere: marmo verde Connemara con sedie Tulip di Eero Saarinen, reinventate e personalizzate dal designer e artista Chris Schanck.
la casa-tendone dell’architetto hitoshi saruta, in giappone.
la spa che si trova al piano rialzato s’affaccia sull’inferiore come fosse un balcone.
Auto e circo
Con un salto in Giappone, ci troviamo in un altro progetto tra l’assurdo e il meraviglioso, nato mescolando sogni d’infanzia, sapienza ingegneristica e passione per le auto. La casa circo – a guardarla, il perché del nome è evidente – è pensata per ospitare la collezione di auto del padrone di casa. «Il budget non permetteva strutture più complesse e il padrone di casa non voleva la classica struttura trasparente per mettere in mostra le auto», racconta l’architetto Hitoshi Saruta di Cubo design. «Il materiale principale qui, come quasi sempre nelle case giapponesi, è il legno in grosse travi collegate alle estremità con strutture di ferro. Per il resto il tetto nasce con lo stesso principio di tensione delle tende». Le lastre di acciaio del tetto sono state progettate rivisitando il tradizionale metodo di copertura giapponese ichimonji-buki in una forma moderna. L’architetto Saruta crede che una casa così possa cambiare la visione del mondo di chi ci abita: «Abitare qui può trasformare il temperamento di una persona, il suo stile di vita e persino il suo modo di vivere. La variazione della luce, il cambiamento del paesaggio e le angolazioni insolite: crediamo che queste nuove esperienze spaziali stimoleranno la creatività del cliente».
la house of the big arch del collettivo frankie pappas si trova all’interno di un’area naturale protetta delle montagne waterberg, in sudafrica.
Co-housing con il bosco
Se ci sono case nate per essere viste e insieme raccontare storie pazzesche, ce ne sono altre che sono ugualmente incredibili, ma per la ragione opposta: sono nate non per fare colpo, ma per essere viste il meno possibile, per mimetizzarsi e essere quasi invisibili. Questo il principio alla base di House of the big arch, all’interno di un’area naturale protetta nelle montagne Waterberg in Sudafrica. «Costruire nella foresta senza disturbare gli alberi», questo lo spirito di Frankie Pappas, collettivo sudafricano di architetti “anonimi”. Un approccio filosofico che inverte la classica prospettiva architettonica antropocentrica che mette le opere dell’uomo al centro. Qui il paesaggio diventa il protagonista e non un elemento secondario e decorativo, “restituendo così alla natura la dignità che merita”, spiegano i Frankie Pappas. «Abbiamo realizzato una casa che non potrebbe esistere uguale in nessun altro posto al mondo». Su richiesta dei proprietari, impegnati nella salvaguardia dell’ambiente e innamorati di queste zone, la struttura è non solo leggera e quasi invisibile, ma anche sostenibile e con consumi minimi, disegnata per sfruttare brezze e venti per il mantenimento della temperatura e essere disconnessa dalla rete idrica ed elettrica. L’acqua viene raccolta e sul tetto ci sono pannelli solari. La forma di questa casa in mattone grezzo e legno non è stata decisa dai proprietari o dagli architetti, ma dagli alberi intorno. «È un’abitazione per gli umani, ma anche per alberi, uccelli, insetti e altri animali». Un co-housing tra natura e esseri umani in 80 mq stretti e lunghi, per una larghezza massima di 330 cm. «Una casa che vuole celebrare l’umiltà di fronte al resto del Pianeta», spiega il collettivo.