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Between Humankind and Nature

Sono tempi incerti quelli in cui viviamo, tempi minacciosi, che sollevano problemi, pongono sfide. Il pericolo più grande viene forse dai cambiamenti climatici, dalla perdita di biodiversità e dall’inquinamento, che mettono a rischio la nostra esistenza e c’impongono di “fare pace con la natura”, per citare il titolo di un recente rapporto dell’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Come riuscirci? A meno di non voler finire come il bambino che si ciba di plastica che apre l’ultimo, disturbante film di David Cronenberg, Crimes of the Future, l’urgenza è di ripensare il nostro rapporto con la natura in un’ottica non più di sfruttamento, bensì di condivisione e cura.
Da questa necessità muove l’esposizione di arte e design Between Humankind and Nature, ospitata fino al 10 settembre 2022 negli spazi del Maçakizi Hotel di Bodrum, in Turchia. A organizzarla è la piattaforma Istanbul’74, fondata nel 2009 da Demet Muftuoglu-Eşeli, ex direttrice creativa di un’azienda di moda turca, con il marito, il cineasta e fotografo Alphan Eşeli. Traendo il nome e l’ispirazione dalla città che sia geograficamente che culturalmente fa da ponte tra due continenti, Istanbul’74 organizza mostre ed eventi – tra cui l’IST. Festival, che nel 2019 si è svolto a Roma in collaborazione con Delfina Delettrez Fendi e Nico Vascellari – allo scopo di promuovere un dialogo creativo tra più discipline. Al suo interno ci sono poi in un’agenzia di consulenza, un blog e un concept store che presenta collezioni esclusive, pezzi unici o in edizione limitata con cui quest’estate la piattaforma è sbarcata a Capri, alla fiera itinerante Nomad di Nicolas Bellavance-Lecompte e Giorgio Pace. Tra gli intenti di Istanbul’74 non c’è dubbio vi sia anche quello di attirare l’attenzione sulla scena culturale della città, usando l’arte (e gli affari) per ridare credibilità a un Paese che si trova oggi ad affrontare nuove sfide – le prossime elezioni sono previste per il 2023 –, tra le spinte autoritarie del governo e l’inasprirsi del malcontento da parte della società civile e degli intellettuali.

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Waving Towers di Cristián Mohaded

The Human Forest di Rey Parlá

La mostra Between Humankind and Nature pone la natura al centro per invocare uno scambio culturale globale. Esposti ci sono infatti i lavori dei turchi Belkis Balpinar, pioniera dell’arte del Kilim, e Mehmet Ali Uysal accanto a quelli di otto artisti e designer internazionali: gli americani Mike Berg e Rachel Hayes, la neozelandese Sabine Marcelis, l’inglese Steve Messam, l’argentino Cristián Mohaded, i fratelli cubano-americani José e Rey Parlá e la svizzera Federica Perazzoli. Molte di queste creazioni sono il risultato di un programma di residenze: gli autori coinvolti – Balpinar, Marcelis, Messam, Mohaded, Perazzoli e Uysal – hanno lavorato in sinergia con gli artigiani del posto, utilizzato tecniche tradizionali e materiali di provenienza locale, dando vita a dipinti, sculture, installazioni site specific, opere digitali e pezzi di design da collezione che interpretano creativamente il paesaggio della Riviera Egea.

La location dell’esposizione è quella suggestiva del boutique hotel Maçakizi, nella penisola di Bodrum, una delle mete più amate dal jet set internazionale fin dagli Anni 70. «La natura ispira stupore e meraviglia dal momento che ci unisce come esseri umani. Nutre l’espressione creativa in molte forme, come un percorso che collega storie personali e culture diverse», spiega Muftuoglu-Eşeli, qui anche in veste di curatrice della mostra. Che tra arte e ambiente possa nascere un dialogo non è una novità. Da sempre infatti gli artisti hanno guardato alla natura come a una fonte di ispirazione per le loro opere, trasfigurandola nel proprio mondo interiore, ragionando sulla sua transitorietà e mettendo talvolta in scena un rapporto non facile con la tecnologia e la cultura. I protagonisti di Between Humankind and Nature pensano le proprie creazioni non come alterazione, ma come evoluzione del contesto paesaggistico.

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Spiritual Strippers di Carlito Dalceggio

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Checkers di Rachel Hayes

Se Mike Berg trasforma la materia grezza in nuove strutture simboliche – ribadendo di fatto che l’arte si fonda sulla natura –, Steve Messam interviene con le sue installazioni effimere nell’ambiente rurale, nell’architettura in disuso: «Mi piace il contrasto tra la permanenza del paesaggio e la fragilità di strutture temporanee. Il potere di ciò che è temporaneo è sottovalutato: il fatto di essere lì solo per un breve lasso di tempo aggiunge urgenza all’esperienza e amplifica il senso di presenza, perché una volta che è andato, è andato». In modo analogo Mehmet Ali Uysal crea installazioni ambientali, tanto più potenti in quanto sovvertono il senso comune. Il rapporto con il colore, la luce e la trasparenza è al centro dei lavori di Rachel Hayes e Sabine Marcelis, quest’ultima con impressi nella memoria i paesaggi della Nuova Zelanda (oggi la designer vive a Rotterdam) e la consapevolezza della fragilità dell’habitat naturale: «La quantità di rifiuti che produciamo è impressionante. Nelle mie creazioni m’ispiro all’acqua, un materiale così puro da essere incapace di danneggiare l’ambiente». A sfumare il confine tra design e arte è anche il lavoro di Cristián Mohaded, di recente nominato Ambasciatore della Marca País Argentina (ossia il “marchio” del Paese, una strategia identitaria di posizionamento sui mercati internazionali) per il suo talento nel valorizzare la cultura e le tradizioni locali. Con tecniche analoghe – pittura, fotografia, video – ma esiti differenti, José e Rey Parlá riflettono sulla storia dell’ambiente urbano e sul valore della memoria. Federica Perazzoli, infine, utilizza il linguaggio pittorico per realizzare opere e manufatti dove protagonisti sono alberi e palme, un paesaggio romantico e favoloso da cui affiorano talvolta piccole figure femminili (tutti autoritratti, spiega lei stessa):
«Ricerco continuamente un’empatia con la natura, sia nel mio lavoro che nella vita. Per trovare pace e spiritualità».

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