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Mária Švarbová. La conoscenza come nostalgia

La piscina è stata, per l’Europa, la fabbrica dei corpi moderni. Geometrica e monumentale come furono i primi politecnici, asettica e funzionale come i primi ospedali pubblici, ha celebrato nelle sue vasche il sogno di un ginnasio di massa capace di esorcizzare gli orrori del lavoro minorile e insieme ha coltivato l’utopia di una società scientificamente pianificata e socialmente pacificata. Con qualche notevole eccezione, come la prima piscina pubblica d’Italia, il Bagno di Diana – costruita a Milano nel 1842 – che, pur fregiandosi del nome di una divinità femminile, ne avrebbe rigorosamente escluse per 50 anni proprio le donne. Più che un’ossessione, le piscine per Mária Švarbová, 34enne fotografa slovacca di Bratislava, sono un luogo della memoria e della nostalgia, in cui l’iperrealismo è sublimato in una purezza metafisica che attraversa più progetti, di cui in queste pagine offriamo un piccolo saggio: da Swimming Pool a Red Pool, da Innovate a Pool 2020, da Deep a Girl Power. Proprio loro, le donne, per molto tempo le grandi escluse dai templi modernisti del benessere pubblico e degli sport che ne avrebbero celebrato la gloria, sono le protagoniste delle composizioni di Švarbová, fotografa quasi per caso, digiuna di studi specifici, ma all’inseguimento del proprio istinto con in mano una macchina fotografica regalatale dalla sorella

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Sottili figure di donna popolano le sue creazioni, spesso riprodotte serialmente, a formare tableaux vivants immoti, sospesi in un tempo ultramondano che, come in un’istantanea color pastello, evoca con delicata ironia una modernità industriale, produttivista e progressista – socialista o capitalista –, la cui traiettoria si è conclusa prima ancora di compiersi, ma la cui ispirazione è sorta in lei anzitutto dall’esperienza quotidiana: «La prima scintilla è arrivata nel 2014 dall’architettura spoglia della mia piscina locale», racconta la fotografa, «L’edificio ha 80 anni e risale a un’epoca in cui il nuoto era più un dovere sociale che uno sport. Ed è forse per questo che gli spazi sono così sterili, tutti piastrelle bianche e cartelli “Vietato tuffarsi”». L’acqua, tersa, azzurrissima e immobile, è uno specchio in cui la fotografa vede riflessa «l’altra faccia del mondo». Ma scorrendo le immagini si avverte anche uno strano contrasto tra la poesia figurativa delle composizioni dei corpi e dei colori e il rigore quasi marziale delle geometrie. Così la spiega l’autrice: «Amo l’architettura brutalista e il funzionalismo. Sono infatuato del minimalismo e delle sue linee perfettamente pulite e rette. Nel mio lavoro utilizzo molto la geometria, quindi, che a sua volta mi aiuta a creare le mie caratteristiche scene cinematografiche. Ma l’obiettivo principale delle mie serie è armonizzare gli esseri umani e lo spazio».

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E così ai corpi non è concessa altra espressione se non quella consentita dalle geometrie tridimensionali e bidimensionali, lungo linee di tensioni figurale, crinali percorsi da equilibri incerti, stati d’interminabile quiete, che si confondono fino a sparire con le trame architettoniche che decorano le pareti, i soffitti, i pavimenti, in un gioco di progressiva astrazione di grande suggestione pittorica. Nonostante la sua sua storia di autodidatta e outsider, Švarbová ha i suoi modelli, maestri – diversamente da lei – abituati a lavorare con veri e propri team: «Fotografi come Gregory Crewdson e Erwin Olaf. Senza dimenticare il regista svedese Roy Andersson». Nel futuro della sua creatività artistica, attualmente, si trova un tema perfettamente conseguente con le sue “piscine” immaginarie: il tempo e lo spazio assoluti. A ispirarla, la matematica superiore, con la sua capacità di condurci oltre l’esperienza del mondo garantita dai sensi, in direzione di un’idea di realtà in cui nulla è come appare e l’esperienza diventa un paradosso incomprensibile, sebbene perfettamente razionale: «Proverò a chiedermi: esiste il piano assoluto? O anche: come possiamo toccare il tempo?». Ogni distanziamento, ogni fuga dalla realtà quotidiana, tuttavia, come ogni ricerca che si sforzi di oltrepassarne i confini, porta sempre con sé un necessario momento di nostalgia, dolce e malinconico, proprio come le placide acque delle “piscine” in cui si specchiano le nuotatrici di Mária Švarbová. Perché, come nel 1964 scrisse Pierpaolo Pasolini nella raccolta Poesia in forma di rosa: “La conoscenza è nella nostalgia. Chi non si è perso, non possiede”.

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