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Dalle strade alle stanze. Il rap e l’interior design: storia in rima baciata

C’è un ragazzo affacciato alla finestra di una casa popolare: snapback calcato in testa, visiera all’indietro. Posiziona una cassa verso il cortile del palazzo e attacca la musica. Il ragazzo si chiama Cut Killer e sta scratchando (letteralmente “grattando”, la tecnica con cui i disc jockey alterano il movimento del disco sul piatto del giradischi per ottenere variazioni sonore della musica) e mixando tra loro tre canzoni iconiche come Non, je ne regrette rien, classicone francese di Édith Piaf, Sound of da Police del rapper newyorchese Krs-One e Police dei Suprême Ntm, colonne portanti dell’hip-hop francese. La stanza non si vede, non è importante: la telecamera si sofferma solo qualche secondo sulle mani del deejay che lavorano sulla console e poi vola – con una delle prime riprese con drone (o perlomeno di un suo antesignano) nella storia del cinema – a raccontare quello che avviene nel quartiere. Le sue persone, le sue strade, le sue case.

Terremoti urbani

Siamo nel 1995 e quella telecamera – qualcuno l’avrà riconosciuta – è quella di La Haine (L’Odio, in italiano), scritto e diretto da Mathieu Kassovitz, vincitore del Premio per la miglior regia al Festival di Cannes. film che ha consacrato il talento di Vincent Cassel e che nel tempo è diventato un culto assoluto soprattutto per quel mondo hip-hop che ne è, insieme alla banlieue parigina in cui si svolge, il vero protagonista. Se le riprese de L’Odio si muovevano da dentro a fuori, interessate a catturare le vicende del quartiere, raccontate tanto dai suoi abitanti quanto dai luoghi e dagli spazi dell’abitare condiviso in cui questi si muovono e il loro mondo si svolge, «oggi la tendenza è spesso opposta: quello sguardo e quelle attenzioni che l’hip-hop riservava all’architettura, agli spazi dei quartieri e di vita collettiva delle persone si stanno spostando verso gli spazi interni. Dando vita a un’interazione nuova e solo a prima vista inusuale tra rap e interior design» racconta Leonardo De Franceschi, designer d’interni e giovanissimo autore di Dalle Strade alle Stanze – Rap Americano e Interior Design, di recente pubblicazione presso la casa editrice Kimerik. «Da queste considerazioni nasce l’idea della mia ricerca, capace di far convergere le mie passioni, quella per l’interior design e quella per la musica. Uno studio dapprima nato come tesi per il diploma all’Accademia di Design e poi diventato un manuale per rispondere all’esigenza di esplorare queste intersezioni, di raccontare come la cultura urbana, la musica e lo spazio abitato non siano soltanto sfere separate della nostra vita, ma elementi interconnessi che definiscono la nostra identità individuale e collettiva». Si tratta di un primo passo per fare ordine su un momento di passaggio generazionale del rap – che dalle strade è letteralmente entrato nelle stanze – e sul rapporto e le interazioni tra due mondi solo all’apparenza distanti ma capaci di incontrarsi «perché si muovono all’interno di una narrativa comune, quella della trasformazione e della rivendicazione dello spazio», raccontate in un flusso di coscienza «ispirato a Haruki Murakami, che mi ha accompagnato nei momenti di ricerca e che ho voluto omaggiare», che all’analisi accademica unisce i ricordi e le sensazioni personali, gli incontri con le città e con il sostrato hip-hop delle grandi metropoli, da Milano a Barcellona, da Londra a Berlino. E così, racconta Leonardo, quello dalle strade alle stanze è un passaggio che per l’hip-hop avviene in maniera graduale, ma insieme dirompente, nei primi anni 2010, quando da genere profondamente legato al mondo delle periferie, all’underground e a contesti popolari, il rap sfonda la porta del mainstream. In una rivincita culturale che parte dal basso. L’architettura e le strade iniziano allora a lasciare spazio ai locali e ai loro arredi: «Il primo approccio del mondo del rap al design d’interni avviene proprio con il cambiamento dello status dei rapper, che vengono notati dalle case discografiche, entrano nei locali e nelle case di registrazione e se ne fanno ispirare». Cambia il contesto, cambia l’ispirazione e cambiano i temi: «Per primi, sono i videoclip e le copertine dei dischi a usare il design e l’arredo come linguaggio. Penso a Kanye West con l’album 808s & Heartbreak, a Drake con il videoclip di Toosie Slide e a Travis Scott con quello di Franchise, interamente girato nel Palais Bulles progettato in Costa Azzurra dall’architetto ungherese Antti Lovag. Ma anche ai video di Cole Bennett, nei quali l’interior design non è solo sfondo, ma componente essenziale per dare vita a mondi immaginari nei quali i rapper sono protagonisti». Poi, tocca alle collaborazioni: il pioniere è Pharrell Williams con la sedia Perspective, creata in collaborazione con il designer francese Domeau & Pérès. Quindi, è il turno di A$ap Rocky, che lancia la capsule collection di mobili e complementi d’arredo dallo stile psichedelico Shroom Cactus insieme con l’italiana Gufram, celebre per il suo approccio anticonformista all’arredamento. Mentre è il solito Kanye West a provare a far coesistere il design con l’attenzione per gli ultimi con il progetto Yeezy Home, lanciato nel 2018 con l’obiettivo di dare vita ad abitazioni a prezzi accessibili attraverso concept architettonici che si rifanno al brutalismo e alla tradizione africana.

illustrazione: Viola Bartoli

Tra sculture e divani

L’ispirazione è sempre vicendevole. Da una parte troviamo allora artisti come Kaws (Brian Donnelly), le cui opere affollano gli ambienti domestici dei rapper non soltanto d’oltreoceano: qui da noi, per esempio, Fedez ha riempito casa con gli iconici Companion, sculture ispirate a personaggi pop come Mickey Mouse, i Muppet, i Puffi, che trovano posto accanto alle opere di street artist come Mr. Brainwash o Obey. Dall’altra c’è Paulin Paulin Paulin, eredità dello storico designer francese Pierre Paulin, il cui profilo Instagram pullula di rapper sdraiati sui suoi divani: vere e proprie star. E poi, c’è anche spazio per l’immaginazione: «Per chiudere un cerchio, ho anche voluto provare a giocare con le prospettive, pensando e ideando in prima persona progetti di design d’interni ispirati alle estetiche del rap». Così, l’autore veste i panni del progettista e ci restituisce suggestioni urbane che fanno del mondo del rap il protagonista degli interni dei loft di New York, di studi di registrazione di Los Angeles, di lounge bar a Chicago, in uno storytelling visuale realizzato tramite l’utilizzo di materiali “poveri” come cemento e ferro battuto, graffiti, schermi led e pannelli acustici.

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