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Kengo Kuma

Kengo Kuma. Nell’uomo, la natura

Nell’autunno del 1964, all’età di dieci anni, Kengo Kuma fu portato dal padre a visitare il complesso sportivo dello Yoyogi National Gymnasium, a Tokyo. Colpito dalla bellezza dell’edificio, chiese al padre chi fosse l’artefice. Gli fu risposto che si trattatava di un architetto di nome Kenzō Tange, che lo aveva progettato per le Olimpiadi di quello stesso anno. Era la prima volta che Kuma sentiva parlare di un architetto e quel giorno decise che lo sarebbe diventato anche lui: «Fino ad allora avevo sognato di fare il veterinario, perché ero un bambino educato che amava i gatti», ha raccontato.

Il progetto Welcome, l’edificio biolifico realizzato insieme al neurobiologo Stefano Mancuso

Oggi Kengo Kuma ha all’attivo progetti in oltre 30 Paesi e lo studio che ha fondato nel 1990 – Kengo Kuma & Associates, con sedi a Tokyo e Parigi – è stato scelto per realizzare Welcome, il nuovo ufficio biofilico, voluto dal gruppo immobiliare Europa Risorse, che sorgerà a Milano nei pressi del Parco Lambro.
Il progetto – che vede anche il coinvolgimento del neurobiologo Stefano Mancuso, autore del best seller Plant Revolution (Giunti, 2017) – consiste in una serie di spazi in cui lavoro e tempo libero si fondono nel segno di un ritrovato contatto con la natura. Orti e giardini saranno infatti parte integrante della struttura, mentre uno speciale sistema di depurazione ideato da Mancuso e denominato “Fabbrica dell’Aria” contribuirà a ridurre (fin quasi ad azzerarlo) l’inquinamento degli ambienti interni. Per la realizzazione dell’edificio, Kuma – originario di Yokohama, a sud-ovest di Tokyo – sostiene di avere tratto ispirazione dall’architettura giapponese tradizionale, la quale, a suo avviso, può dare all’Occidente «un grande suggerimento». Che così precisa: «Il Giappone è un Paese piccolo e molto denso. In queste difficili condizioni la gente ha sviluppato uno stile di vita sostenibile già da molto tempo. Anche nelle città più dense infatti gli edifici giapponesi sono dotati di un sistema di ventilazione naturale, per cui senza aria condizionata e senza consumare energia si trova il modo di rendere confortevoli gli spazi. Si tratta di una saggezza molto profonda dell’edilizia giapponese tradizionale, che però nel XX secolo i giapponesi stupidi hanno dimenticato, perché credevamo che gli edifici in cemento armato americani fossero il futuro.
Un errore totale. Ciò che stiamo facendo quindi è prendere spunto da quel modo di costruire che utilizza materiali e sistemi di ventilazione naturale e che protegge gli edifici dal calore. Non voglio ignorare le nuove tecnologie: voglio combinarle con quella saggezza».

Kengo kuma

Welcome, l'edificio biolifico che sorgerà a Milano nell'ex area Rizzoli

Welcome ha a al suo interno un sistema di depurazione dell'aria

Kengo Kuma

Il Japan National Stadium di Tokyo si compone di tanti pezzi di legno di piccola dimensione

Japan National Stadium e il passaggio ai materiali soft dell’edilizia giapponese tradizionale: dal legno al bambù, alla carta di riso.

Se Welcome è un buon esempio della combinazione di cui parla Kuma, lo stesso può dirsi del Japan National Stadium da lui disegnato per ospitare le Olimpiadi di Tokyo del 2020, 56 anni dopo il progetto di Kenzō Tange che l’aveva fatto innamorare dell’architettura. Ebbene, «cosa è cambiato tra il 2020 e il 1964?», si domanda Kuma. L’idea di Tange di creare qualcosa di alto e grande, utilizzando i materiali duri e freddi che hanno giocato un ruolo fondamentale nell’industrializzazione, ossia il cemento e l’acciaio, appare in contrasto con la necessità di salvaguardia dell’ambiente che oggi ci troviamo di fronte: «Ho pensato che uno stadio rappresentativo dello spirito e della sensibilità del nostro tempo avrebbe dovuto essere il più basso possibile ed essere fatto di legno anziché di cemento. L’uso degli alberi è una misura efficace contro il riscaldamento globale in quanto assorbono anidride carbonica dall’aria. Inoltre, pare proprio che l’architettura in legno protegga gli esseri umani dallo stress e induca stabilità emotiva». Il Japan National Stadium ha preso a modello il tempio giapponese Hōryū-ji – risalente al VII secolo e, secondo Kuma, «l’edificio in legno più antico del mondo» – è un ovale sormontato da una copertura a traliccio dove il legno è il materiale principale. E come il predecessore è stato fonte d’ispirazione per il progetto Welcome. Per ottenere l’effetto di una struttura nella foresta, le logge che corrono lungo la circonferenza esterna sono state dotate di piante e di un sistema di ventilazione ottenuto tramite l’accostamento di lamelle di cedro. Come nell’engawa, ossia la veranda intorno alla casa giapponese tradizionale che dall’interno si protende verso lo spazio circostante (in genere un giardino). Così concepito, l’impianto sportivo dimostrerebbe che «rispetto a qualsiasi altro Paese del mondo, il Giappone ha un affetto più grande e meticoloso per la foresta e un legame più profondo con l’ambiente». 

Secondo l’architetto inoltre lo stile giapponese è una panacea: in un momento storico in cui le persone ricercano il benessere psicofisico, le sue qualità lo renderebbero «necessario, non solo visivamente, ma mentalmente».

Il Museo V&A Dundee in Scozia, si riflette sull'acqua, fondendosi col paesaggio

The Exchange, a Sidney e l’Hans Christian Andersen Museum in danimarca. Rivoluzione verde nella città.

A questa convinzione è giunto dopo un periodo in cui credeva che cemento e acciaio fossero l’unica opzione per qualsiasi costruzione. «Voglio lasciarmi alle spalle l’era del cemento», dice. Per realizzare edifici, strutture, persino ponti in legno. Tra le sue più recenti architetture, The Exchange, a Sidney, è uno spazio multifunzione descritto come «un centro comunitario in legno» al cui interno si trovano il mercato, un asilo, una biblioteca, ristoranti e altro ancora. In contrasto con i grattacieli circostanti, la struttura è bassa e dotata di una facciata lignea a forma di spirale che fa sembrare l’edificio il nido di un uccello. Ancora in legno è l’Hans Christian Andersen Museum, che sarà completato a Odense, in Danimarca, mentre c’è molta attesa per il progetto di restauro della dimora ottocentesca di famiglia di Giorgio Pace (fondatore con Nicolas Bellavance-Lecompte della fiera itinerante Nomad) a Termoli, in Molise, che il curatore ha scelto di destinare a museo e residenza per artisti: «Oggi, nel XXI secolo, quando ci troviamo ad affrontare la crisi ambientale del riscaldamento globale, dovremmo decidere di costruire in modo diverso. Dopotutto il cemento ci ha portato molto stress. Di qui il mio desiderio di staccarmene». L’interesse di Kuma è tutto per i materiali “soft”.
È questa secondo lui la direzione che l’architettura dovrebbe
prendere: «Il cemento e l’acciaio sono pesanti, duri, freddi e non riesco a provare simpatia per loro. Per i materiali “soft”, invece, ho una grande simpatia. Sono come degli amici per noi». Oltre al già citato legno – le cui caratteristiche di calore oltre che di “softness” invitano al contatto –, ci sono il bambù, la carta di riso e gli altri materiali dell’edilizia giapponese tradizionale. Anche la luce è per Kuma un elemento chiave della progettazione, perché «un materiale da solo non può parlarci. Quindi materiale e luce devono essere sempre considerati insieme». Il pensiero dell’architetto va ancora una volta alla tradizione nipponica: «Prima del XIX secolo non avevamo l’elettricità, ma uno speciale schermo di carta di riso in grado di portare la luce naturale nel più profondo degli spazi. Esistevano anche modi molto sofisticati per riflettere la luce sul pavimento e il soffitto. Mi lascio sempre ispirare da questa tradizione quando uso la luce nei miei progetti.
È un tipo di saggezza molto importante, che può far risparmiare energia e mantenere un ambiente tranquillo. Senza luce artificiale godremmo di più di quella naturale e, come hanno sottolineato anche alcuni medici, i benefici sul corpo sono molteplici».
In un momento storico in cui le città crescono a dismisura e
dobbiamo trovare il modo d’integrare il verde nel costruito, è
questa la vera sfida del futuro: «una rivoluzione della città».
Secondo Kuma: «Il design delle città attuali è stato stabilito in America all’inizio del XX secolo. Esso è una combinazione di periferie e grattacieli nel centro città. Questo stile si basava sulle informazioni dell’epoca ed è molto stupido che esista ancora.
Dobbiamo cambiare il design delle città basandoci sulle informazioni odierne. Abbiamo la libertà per farlo».

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