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La nuova giovinezza del Jazz

Se il jazz fosse un animale, sarebbe un gatto. Per la sua agilità, la sua capacità di risollevarsi, ma, soprattutto, di vivere molteplici vite. Da qualche anno conosce una nuova giovinezza su un’asse Londra-Chicago, una giovinezza spinta da uno slancio che attinge dalla forza dei collettivi, dall’aiuto reciproco e dall’ispirazione che gli offrono altri stili musicali cui si mescola con scambi proficui per tutti. Arrivando a Londra una ventina di anni fa, ufficialmente per proseguire i suoi studi, il francese Alexis Blondel – Lex Blondin per gli intimi – non sapeva ancora che avrebbe contribuito a cambiare l’ordine costituito della scena musicale della Capitale britannica. Grande appassionato di musica, collezionista di dischi, ha setacciato i club parigini come Le Caveau des Oubliettes o il New Morning. Ma si riconosce nell’approccio globale della musica d’Oltremanica. Là Dj molto influenti, come Gilles Peterson o Patrick Forge, difendono da molti decenni – nei club, alla radio e su disco – un’estetica che mixa jazz, soul, dance e world music: «All’epoca cominciava a svilupparsi l’hip hop inglese. Io conoscevo bene l’ambiente. Dopo gli studi, inizialmente ho lavorato per alcune etichette e organizzato concerti». Percependo la presenza di un mercato si mise in cerca di un luogo per installare degli studi di registrazione e, nel 2012, si imbatté nel locale di un centro sociale giamaicano vicino al quartiere di East London, dove vive: «Nella sala da 200 persone ho iniziato con eventi e concerti che radunavano produttori, tecnici del suono, musicisti, fotografi. Persone con cui volevo lavorare. Abbiamo cominciato in modalità do-it-yourself, prima di passare al professionismo. Siamo cresciuti insieme, aiutandoci». Era nato Total Refreshment Centre (Trc), dove da 11 anni Alexis e i suoi non smettono di creare, produrre e promuovere la loro musica, stabilendo collegamenti con gli omologhi, come il collettivo Steam Down fondato dal sassofonista Ahnansé nel sud-est della Capitale: «Al di là della musica, abbiamo vissuto momenti magici e percepito che lì accadeva qualcosa di speciale, si formavano dei legami». Al punto che il nome si è imposto come l’epicentro e il simbolo dell’effervescenza musicale della città, moltiplicando le uscite con la sua etichetta e lanciando musicisti e artisti: «Ho percepito molto in fretta la vitalità della scena jazz e le sue necessità. I primi contatti sono stati con la sassofonista Nubya Garcia, il tubista Theon Cross e il tastierista Joe Armon-Jones, tutti e tre ancora giovani e sconosciuti. Ho preso una cotta per la loro musica, abbiamo cominciato a lavorare, è stata la prima tappa. Successivamente abbiamo avuto musicisti un po’ più vecchi, come il sassofonista Shabaka Hutchings». Grazie a quel posto non solo tutti sono riusciti a sviluppare la propria arte, ma hanno formato un sacco di gruppi o di progetti, sostenendo artisti di altri mondi. «Oltre a essere aperti, molti si dimostrano tecnicamente validi. Approfittano così delle numerose opportunità che si presentano in grandi concerti: nello hip hop, per esempio, con una rapper come Little Simz, che è esplosa in Inghilterra».

Browns wood recordings, Yussef Kamaal

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Resavoir, collettivo lo-fi jazz di chicago

Un approccio politico 

Al di là e intorno a Trc, parecchi artisti e collettivi conoscono un successo internazionale, come il quintetto Ezra Collective di Joe Armon-Jones, Sons of Kemet di Theon Cross e The Comet Is Coming, dove suona Shabaka Hutchings. Di questo riconoscimento ha beneficiato anche la generazione precedente, quella del batterista quarantenne Tom Skinner, il cui gruppo jazz-punk Melt Yourself Down si era distinto prima di questa nouvelle vague. Tom suona anche nei Sons of Kemet e negli Smile, progetto più rock guidato da Thom Yorke dei Radiohead. Jazz, hip hop, dub, soul, funk o drill… La compilation Transmissions From Total Refreshment Centre dimostra che il movimento trae la sua forza proprio dall’eclettismo e dall’apertura di questi artisti, il tutto in uno spirito libero, radicale, che deve il proprio fermento all’inventiva e all’etica punk, come ama ricordare Alexis Blondel. «Mentre la Francia dispone di istituzioni – festival e scuole – per la promozione del jazz, l’Inghilterra si iscrive in un tipo di approccio politico e comunitario», aggiunge Antoine Rajon, attore e osservatore di questa scena, passato per differenti etichette francesi da una trentina di anni e fondatore della label Nyami Nyami Records. «Ancora meglio, musicisti inglesi degli Anni 80/90 hanno lanciato il programma Tomorrow’s Warriors per educare i giovani, permettendo loro di ritrovare le proprie radici. Sempre da questo è nata l’attuale generazione, che si organizza in collettivi intorno a luoghi autogestiti, si sostiene reciprocamente nei concerti per ragioni economiche e fonde rap, grime… Ciò ha fatto la forza di questo jazz inglese che piace alle nuove generazioni». Lo scorso gennaio l’Efg London Jazz Festival accoglieva, sul palcoscenico del Barbican Centre, alcuni artisti di Trc e degli omologhi di International Anthem per un incontro che non doveva nulla al caso, considerato quanto questo label studio di Chicago condivida lo stesso modo di procedere e un’identica filosofia: «Gli artisti di Chicago vanno considerati antenati di questo movimento per via della segregazione razziale della città. La comunità nera si è organizzata in una scena aperta ai musicisti bianchi. C’è un forte aiuto reciproco, in una lunga tradizione del jazz militante e di avanguardia». 

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kokoroko, collettivo londinese influenzato dall’afrobeat.

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neue grafik e brother portrait al total refreshment centre di londra.

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al pitchfork music festival paris

Il concetto Great Black Music

Nel solco di personalità come la trombettista Jaimie Branch, scomparsa nel 2022, il batterista Makaya McCraven, il sassofonista Alabaster DePlume, il multistrumentista Ben LaMar Gay o lo straordinario e poliedrico Angel Bat Dawid, sono nati progetti e collettivi che riempiono le sale: «Proprio come per Trc, la forza di questo luogo risiede nella soppressione delle barriere, un’idea che è sempre esistita a Chicago a partire dal concetto di “great black music”, sulla scia degli antenati dell’Association for the Advancement of Creative Musicians (Aacm) e poi dell’Art Ensemble of Chicago, che voleva unificare la musica nera senza barriere tra il soul, il funk e il free jazz». Batterista americano di jazz, Frank Rosaly lavora con l’artista sperimentale Ibelisse Guardia Ferragutti a un album per International Anthem, che lui definisce come una forza motrice per l’emergere di artisti e musicisti fino ad allora nell’ombra. «Prima non c’erano opportunità per gli outsider, ma la label offre loro la possibilità di creare la propria storia, senza l’obbligo del rispetto della tradizione di Chicago. Il fatto di essere influenzati dalla filosofia jazz non li obbliga a suonare per forza jazz», spiega Frank, il cui progetto mira a esplorare il patrimonio delle musiche latine utilizzando allo stesso tempo «l’elettricità, l’improvvisazione e il rumore». Lo spirito di indipendenza e la militanza favoriscono lo schiudersi dei talenti femminili delle due sponde dell’Atlantico; tanto per le musiciste – come le sassofoniste Nubya Garcia, Chelsea Carmichael e Camilla George, i gruppi quali Kokoroko, collettivo londinese influenzato dall’afrobeat – quanto per le autrici compositrici, come Angel Bat Dawid e Camae Ayewa alias Moor Mother, l’anima di Irreversible Entanglements, la cui poesia attinge dalla coscienza sociale. Artisti jazz sono diventati bankable anche per i discografici e si fanno strada nelle sale e nei festival pop rock, come Ezra Collective che ha galvanizzato Glastonbury. Il genere può così raggiungere un pubblico più ampio, anche se Chicago e Londra tengono i piedi per terra: «Ci sono molti modi di suonare jazz fuori da un jazz club…».

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