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Nuova Scozia, cocktail di terra e mare

La strada costeggia bracci di mare, incontra laghi, scavalca fiumi. L’auto si lascia deviare su piccoli e grandi traghetti. Un paesaggio di canne, abeti e aceri, di maree dantesche e di volpi furtive, di odori di iodio e di fumo. Penultima provincia del Canada per grandezza, la Nova Scotia è una penisola che si aggrappa alla costa Sudorientale del Paese. Ha il sapore di lontananza, di profumi di terra e mare, di abitanti che parlano francese con uno strano accento. È il paese dei fari, di fascinosi bed & breakfast e dell’aragosta. Ma prima di tutto, un piccolo flash-back. Circa 400 e rotti anni fa, il re di Francia Enrico IV mette gli occhi sul Nord del continente americano. Dà l’esclusiva della colonizzazione a un certo Pierre de Mons, che vi impianta una delle prime colonie francesi dell’America del Nord, seguito ben presto da Samuel de Champlain, futuro fondatore della città di Québec. A poco a poco, in un flusso lento e regolare, sbarcano i temerari francesi in cerca di una vita nuova. Bisogna avere i nervi molto saldi per imbarcarsi su queste navi poco affidabili e affrontare un clima rigido. A questa latitudine, la costa atlantica è accidentata, frastagliata da bracci di mare, isole, anse e baie. Le prime comunità agricole si insediano dentro queste insenature, in totale solitudine. È grazie ai Mi’kmaq – cacciatori e pescatori radicati in queste terre da 10 000 anni – che riescono ad adattarsi e a lanciare il commercio delle pelli. Sorretti da un’ardente volontà di trovare la felicità in questa terra promessa, i francesi chiamano il territorio Acadia, con riferimento all’Arcadia, che per i greci incarnava il paradiso terrestre. La loro capacità di trarre profitto da queste terre ingrate spinge gli inglesi a mettere gli occhi su questo eden agricolo. I britannici approfittano della guerra dei Sette anni per impadronirsi della colonia per poi – attirati dal tepore degli empori indiani e privi del coraggio necessario per affrontare il vento freddo e secco di nordovest, il noroit – supplicare gli acadiani di tornare. È per questo che, quando si apre la cartina della Nuova Scozia, metà delle città hanno nomi francesi: Grand Pré, Noël, Isle Madame, Saulinierville, Grand Étang. Bandierine blu, bianche e rosse sventolano davanti alle panetterie francesi, ai bar Au bon coin, e indicano il luogo dove vivono i discendenti dei pionieri, che hanno difeso palmo a palmo, con il loro accento aspro, la lingua francese davanti alla pressione anglosassone. Come si arriva in questi luoghi esotici? Atterrando all’aeroporto di Halifax, capitale della provincia, fulcro del commercio, grande porto militare e di costruzioni navali e base per i capitani di imbarcazioni corsare. Halifax è rimasta nell’immaginario collettivo anche per aver ricevuto l’incarico di raccogliere i corpi dei passeggeri del Titanic, affondato proprio lì davanti. Per gli appassionati di immersioni, l’esperienza in sommergibile costa… 150 000 dollari! La città è stata inoltre rasa al suolo dall’esplosione di un deposito di munizioni nel 1917. Ricordi che non impediscono a questa città dagli edifici bassi di essere disseminata di jazz club e di ristoranti specializzati in frutti di mare.

nuova scozia

i piccoli fari bianchi della nova scotia

le chiese di mahone bay

Numerosi siti Unesco

Che si prenda la strada per il Sud o per il Nord, i paesaggi sono punteggiati da piccoli fari rossi e bianchi, di villaggi con case di legno circondate da verande e intonacate con tinte delicate, di chiese di assi bianche bordate di nero, di food truck che consegnano fish & chips e di vecchi shipchandlers illuminati con lampade a petrolio. A Lunenburg, in fondo a rue Montague, il vecchio Jake mette in mostra  un tesoro di vecchi oggetti di marina e di pesca. La maggior parte degli edifici della città è inserita nel patrimonio Unesco: è raro vedere così tanti siti culturali in una provincia così piccola. Un esempio è quello di Grand Pré – che ha preservato i paesaggi acadiani caratterizzati da dighe, –, oppure la più grande riserva della biosfera del Canada. Nella baia di Fundy sorprendono invece le falesie incrostate di fossili giganti. Ma la baia riserva altre sorprese: è l’unico posto al mondo dove si fa rafting con la marea crescente. 16 metri di marea, un mare che galoppa ancora più veloce che a Mont-Saint-Michel e un mascheretto che permette di surfare in controsenso! Le onde possono salire fino a sei metri. Le balene si beano in queste acque agitate e si avvicinano abbastanza alla terra per mostrare ai viaggiatori i loro grandi corpi agili. La zona era il paradiso dei costruttori di natanti. 16 cantieri navali tagliavano i giganteschi tronchi di quercia, olmo e abete rosso per farne dei giganti galleggianti. Warren ha comprato la casa di uno di questi armatori. Sua mamma Anna ne racconta l’infanzia, quando i più poveri non potevano comprarsi la carne ed erano costretti a mangiare crostacei. Si ricorda ancora la vergogna di arrivare a scuola con un panino… all’aragosta!

il museo graham bell, situato a baddeck.

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le balene vicino alla baia di fundy

e le aragoste

Aragoste e capesante a non finire

La regione non raggiungerà alte vette gastronomiche – come da tradizione acadiana, nel menu ci sono patate (McCain ha delle fabbriche qui) e poutine québécoise (patate fritte inondate da una salsa preparata con fondo di cottura e formaggio) – ma gli appassionati di crostacei possono preparare le pinze e annodarsi i tovaglioli intorno al collo: aragosta e capesante abbondano! Per divorarne fino allo sfinimento bisogna procedere in direzione Digby, dove i pescatori riforniscono tutto il mondo. Da vedere l’andirivieni continuo di imbarcazioni dentro e fuori dal porto con la marea: oltre 150 pescherecci che, a ogni uscita, tirano su 20 volte le loro nasse. Man mano, gli scafi sprofondano nell’acqua. All’arrivo in porto sono in attesa i camion con il motore acceso. Lo scarico avviene alla velocità di un cambio ruote durante un gran premio di Formula 1. Fino a 150 tonnellate di aragoste o di conchiglie filano verso l’aeroporto di Halifax per riversarsi congelate nei nostri supermercati. I ristoranti del posto li cucinano in tutte le salse. Più a nord, sulla costa occidentale, Wolfville si differenzia dall’ambiente bucolico generale. Famosa per essere una “vera città” – e non solo una strada, un alimentari-drogheria-farmacia e dei bar –, questa bella località possiede anch’essa una strada, ma più lunga, più larga e, soprattutto, affiancata da un’università. La città è quindi stracolma di giovani atletici, di ristoranti e di concept store. Ogni domenica gli studenti percorrono l’Highland Avenue al volante di Gran Torino o di Corvette Stingray un po’ riadattate per sbalordire le ragazze. Il cinema Acadia, con la facciata Anni 50, organizza festival, e un’immensa brasserie raduna tutta la città in un tranquillo e gradevolissimo ambiente di provincia. Intorno, vigneti che producono un vino assolutamente bevibile.

Skyline Trail, Pleasant Bay

vista aerea di Cape Breton

Un grande spettacolo

Ancora più a nord, ecco Cap-Breton. Un parco nazionale e una strada, il Cabot Trail, celebre per essere una delle più spettacolari al mondo (anch’essa sito Unesco). I promontori svelano una costa a perdita d’occhio, intagli a fior d’acqua sull’oceano, granito rosa come nella località bretone di Perros-Guirec. D’altra parte il tempo, sotto i venti dell’oceano e del Labrador, cambia molto in fretta. Un vero tempo bretone, un filo più frescolino. Ma niente panico, se a Montreal la temperatura può precipitare a –30 °C, qui scende di rado sotto i –10 °C in inverno. Poi ci sono la primavera, molto mite, e l’estate indiana, fiammeggiante. La strada si infila allora tra cuscini di vegetazione rosso scarlatto e le montagne si coprono di una pelliccia oro scuro fitta come l’astrakan. L’artigianato locale si dedica alle coperte variopinte all’uncinetto, e si capisce il perché, dato che il paesaggio sembra lavorato a maglia con colori caldi. La Nova Scotia conta più di 3 000 laghi, oltre a centinaia di ruscelli e fiumiciattoli. Attraversando l’isola di Cap-Breton si costeggia sempre l’acqua. Bracci di mare sottili come fiordi,  il lago Bras d’Or, il lago Rossignol (Braccio dorato, Usignolo). L’aria è di una purezza cristallina. Le case di assicelle di legno sono riverniciate di fresco a smalto e decorate di colori vivi. Nelle verande, l’immancabile poltrona Adirondack. I nomi delle località sono per metà in francese e per metà in gaelico, a ricordo degli scozzesi che sbarcarono qui per allevare i montoni per il cosciotto alla menta e che finirono per battezzare il territorio  Nova Scotia. Tuttavia è qui che la presenza degli acadiani è più palpabile. Sulla Pointe du Havre, infatti, s’impone alla vista il ristorante La Chansonnette, a fianco della comunità cristiana conosciuta come Saint-Pierre. Sulle cassette delle lettere, salta fuori di continuo il nome Leblanc. Si viene da lontano per comprare un ottimo pane francese alla panetteria Au Coin. In questi paesaggi zeppi di emozione, la playlist dell’auto ripete senza sosta Neil Young, Diane Dufresne, Leonard Cohen, Robert Charlebois. Basterebbe saltare su un traghetto per sbarcare a Terranova e godersi una piacevole visita a Saint-Pierre-et-Miquelon.
La prossima volta…

Informazioni pratiche

 

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