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Slovenia, sapori di confine

Se frequentate il paesino di Caporetto (Kobarid), nella valle dell’Isonzo, avrete sicuramente sentito parlare di una certa Ana Roš, chef autodidatta che – dopo studi di relazioni internazionali – decide di mettersi in cucina nella locanda dei suoceri. In pochi anni, Ana si fa notare: prima dai vicini italiani e poi, nel 2016, quando è protagonista di un episodio della serie Chef’s Table prodotta da Netflix. Da quel momento è la gloria. Ana è oggetto di numerosi articoli ed è invitata a manifestazioni internazionali; il governo sloveno trova in lei una delle sue migliori ambasciatrici, il punto di appoggio delle campagne di promozione turistica basate sulle ricchezze gastronomiche del Paese. A prima vista, il suo ristorante non è molto promettente. Nulla di sofisticato né di storico, un edificio rosa che somiglia a un banale albergo e un parcheggio che si riempie in fretta. Il locale si chiama Hiša Franko: hiša vuol dire casa, mentre Franko è il nome del fondatore della locanda, il padre di Valter e marito di Ana. L’ambito di Valter è il vino. Lo beve, ne parla, lo vende nel suo wine shop e sul sito del ristorante, lo produce. Un prodotto sempre naturale, di preferenza sloveno, e che si accompagna volentieri con il formaggio, l’altra passione di Valter. Va detto che questa è anche la valle dei latticini, in particolare a Tolmino, dove si produce il tolminc, un formaggio antichissimo a base di latte vaccino crudo e che Valter fa trasportare fin nelle cantine dell’Emilia-Romagna per terminare la stagionatura. Ovviamente il formaggio è nel menu di Ana Roš, per esempio nel cuore di un mochi rivestito di cereali soffiati o accompagnato da una fonduta e da gnocchi di ortica. Ogni boccone del menu degustazione (una quindicina di tappe) valorizza la regione. Il miele, la trota, il sambuco, il latte fermentato, l’agnello, l’orso, la pera o l’albicocca: tutti ingredienti che prendono d’improvviso la tangente collidendo con sapori e tecniche che Ana ha imparato durante i suoi viaggi: lo jalapeňo, la tortilla e il mole messicani; il panch phoron indiano; il fico e l’acqua di rose del Medio Oriente; il koji giapponese. Ci sono la fermentazione, l’affumicatura, l’infusione. Ogni piatto – piccolo per dimensione – è grande nei sapori, che sono profondi, lunghi in bocca. Un concentrato di paesaggio che profuma di fiume, foresta, humus, linfa, fattoria e frutteti, e che appare misterioso e potente come la montagna. Poi viene il momento di lasciare Caporetto per costeggiare l’Isonzo, fare una deviazione per l’invaso di Santa Lucia d’Isonzo (Most na Soči) ed estasiarsi per le sue acque turchesi sullo sfondo della montagna. Tutto ciò, prima di lanciarsi a capofitto nelle acque smeraldine del fiume, ai piedi del ponte di pietre che attraversa Canale (Kanal), punto di passaggio strategico che riassume la storia del paese.

la tenuta viticola familiare di andrej erzetič

chef ana roš un’ambasciatrice della gastronomia slovena

ristorante hiša franko,

Siamo qui sulla strada che collega l’Europa centrale al Mediterraneo, una zona che dopo il Mille fu successivamente controllata dalla Baviera e dalla Repubblica di Venezia, prima di entrare nel 1945 nella nuova Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia – composta da Bosnia-Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia. Ma fu solo nel 1991 che lo Stato si dichiarò indipendente e divenne la Repubblica di Slovenia che oggi conosciamo. La strada procede a tornanti sulle Alpi Giulie e, d’improvviso, il superamento di un valico svela senza transizione tutto un altro paesaggio che – altrettanto verde e ondulato – ricorda la Toscana. Le cicale cantano e le vigne imprimono i loro motivi geometrici. Qui, nulla distingue le colline italiane da quelle slovene, se non il loro nome: Goriška Brda da un lato, Collio Goriziano dall’altro. Intorno al borgo di San Martino (Šmartno) il turismo è diventato principalmente enologico e si esplora volentieri in bici. La famiglia Mavrič ha aperto a Medana, nel 1992, una delle prime locande slovene della regione: Belica. È là, in sale aerate e oscure, che Sebastjan Mavrič fa asciugare i suoi salami e prosciutti, circa 300 pezzi riservati al ristorante. Sotto i pergolati di vite del déhors si gustano anche deliziose grigliate: una cucina senza pretese accompagnata dai vini della casa.

gli oli di oliva prodotti da timon brataševec hanno successo nei concorsi

un allevamento di anatre all’interno di un laboratorio di avicoltura

la locanda belica.

Viti, dunque, ma anche alberi da frutta (soprattutto ciliegi), olivi e lavanda. Mirjam Marinič coltiva questa con altri fiori e piante aromatiche, in un magnifico campo terrazzato, dove li secca, li distilla e ne ricava oli essenziali, prodotti di bellezza, confetture, liquori. Intorno a una frtalja di erbe selvatiche – la versione slovena della frittata –, ricorda le loro proprietà e impieghi in ricette o cocktail. Qui, quasi tutti contano sul turismo per far vivere la regione. Sanno che il loro piccolo numero non può competere nell’export, in particolare con i produttori italiani. Per questo puntano sulla creatività, sulla qualità e sul biologico per attirare l’attenzione. Timon Brataševec non ha scelto la vite – secondo lui ce n’è a sufficienza – ma ha piantato degli olivi. Ha scavato per trovare l’acqua, ha installato un sistema di irrigazione sofisticato che rileva i bisogni del terreno e degli alberi, e produce ora quattro oli – tre monovarietali e un blend – a partire da tre varietà di olive. Degli oli molto caratteristici, nei quali l’amaro o il piccante si affermano gradevolmente e che hanno successo nei concorsi internazionali. Lo stesso approccio creativo anima la famiglia Erzetič, composta da produttori di vino da tre generazioni. Andrej, che ha recentemente preso la guida dell’azienda familiare, le ha dato un nuovo impulso. Ha ripiantato vigne e fatto parecchi viaggi – da cui ha tratto ispirazione per perfezionare la vinificazione –, trovando nuovi mercati. Il vigneto, in conversione bio, è tra i più alti del Brda e, dalla casetta di pietra posta nel punto più elevato, la vista è sbalorditiva. La posizione è ideale per gustare uno dei suoi vini migliori: un Amfora Rebula, spremuto dopo sette mesi di macerazione in anfore di argilla sepolte sotto terra, quindi invecchiato diciotto mesi in barrique. Generoso e dorato come gli ultimi raggi di sole sulle colline slovene.

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