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Una pesantezza sostenibile, i viadotti un po’ come dinosauri urbani.

Enormi, pesanti, ma a loro modo affascinanti: un po’ come dinosauri urbani. I viadotti inutilizzati, oggi, sono creature cittadine in crisi d’identità. Figli di un certo tipo di progettazione che fra gli Anni 70 e l’inizio del nuovo millennio ha considerato le infrastrutture come corpi estranei e indipendenti dallo sviluppo urbanistico e sociale, oggi sono vestigia ingombranti. «Questo è stato il grande problema della crescita del Secondo dopoguerra che ha messo, soprattutto le città europee, in scacco rispetto a quello che accade oggi», spiega Andrea Boschetti, architetto founder e Ceo dello studio milanese di architettura e progettazione urbanistica Metrogramma. L’architetto è coinvolto nella rigenerazione della valle del Polcevera, sito industrialmente infrastrutturato sotto le arcate del ponte che ha sostituito il Morandi, crollato nel 2018. E prosegue: «Quasi il 70% delle superfici urbane è occupato da infrastrutture. Bisognerà tornare indietro per cercare di fare respirare le città e questo implica un grandissimo obiettivo di progetto per i futuri 20, 30 anni». Intanto, per i prossimi cinque, la nostra Legge di bilancio 2023 ha istituito un Fondo per il contrasto al consumo di suolo: 160 mln, stanziati da quest’anno al 2027, per consentire la programmazione e il finanziamento di interventi volti alla rinaturalizzazione di suoli degradati, o in via di degrado, in ambito urbano e periurbano tramite opere di varia natura.

nella periferia di milano, il viadotto dipinto nel 2019 in bianco ottico dal fashion brand sunnei è un luogo inaspettato e interessante.

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Una goccia nel mare, ma è un inizio verso una trasformazione dei nostri paesaggi metropolitani. La riduzione del traffico e delle automobili (con i rispettivi parcheggi) è quello che ci aspetta. Il caso del quartiere Vauban a Friburgo, in Germania, è virtuosamente pionieristico: per 10 000 abitanti solo 100 posti auto di cui il 70% per fragili. Mentre molto recente è l’esperimento condotto nel cantone di Berna, in Svizzera, dove 100 persone hanno ricevuto l’abbonamento gratuito e illimitato a treni e bus, una bici elettrica e il servizio di car-sharing in cambio dell’abbandono dell’automobile per un mese. Per rendere vivibile questo tipo di futuro tocca progettarlo adesso. Come? Cambiando la cultura urbanistica, consci che il recupero delle infrastrutture rappresenta solo un aspetto della necessità più grande di conquistare spazio pubblico con accesso a raso. In questa direzione, per esempio, si è voluto collocare l’esperimento condotto nel 2020 a Torino dall’associazione culturale Torino Stratosferica con il Precollinear Park, che ha trasformato le ultime tre fermate di una linea tramviaria, inutilizzate dal 2013, in un parco urbano temporaneo lungo poco meno di un chilometro. Dal 2024 la tramvia sarà ripristinata, ma il progetto per tre anni ha ricollegato quattro quartieri della città ed è stato sede di numerosi eventi culturali, guadagnandosi riconoscimenti e segnalazioni a livello internazionale (da Bloomberg CityLab a Monocle). Per quanto prioritaria, sappiamo che la riconquista del suolo urbano in piano non sarà possibile in tempi brevi. Nel frattempo, ci ritroviamo con diversi viadotti, monumentali e vacanti, con cui siamo costretti a fare amicizia. Per questo sono stati proprio loro i primi a inaugurare le prove tecniche di rigenerazione. Impossibile non pensare al progetto seminale della High Line di New York. Nata su una sezione della ferrovia sopraelevata West Side Line abbandonata dal 1980, è firmata dagli architetti Diller Scofidio+Renfro. Una passeggiata verde che dal 2015 ha restituito un angolo di ossigeno alla città, ispirando numerosi altri concept analoghi a livello internazionale. 

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il precollinear park, il parco temporaneo di torino realizzato lungo la tramvia.

Proprio fra il 2015 e il 2017 è stato realizzato il fratello coreano della High Line, il Seoul Skygarden, dallo studio Mvrdv di Rotterdam: ricavato in un viadotto autostradale degli Anni 70 ritenuto dal 2006 non più conforme agli standard di sicurezza, il parco urbano è sospeso a 17 m da terra, lungo circa un chilometro e fiancheggiato da oltre 20 000 piante, in rappresentanza del patrimonio vegetale della Corea del Sud. L’idea del parco urbano sopraelevato torna anche nell’esperimento che lo studio londinese Twelve Architects sta conducendo – insieme a National Trust, Manchester City Council e comunità locale – con il viadotto ferroviario di Castlefield. La struttura è rimasta inutilizzata dal 1969, quando la stazione centrale di Manchester chiuse, e da allora sono state effettuate solo riparazioni e manutenzioni essenziali. Aperto al pubblico nel luglio del 2022 e visitabile fino all’autunno 2024, il progetto sta verificando l’interesse dei cittadini per il recupero di questa struttura di epoca vittoriana in ghisa e acciaio, ora a metà tra fenomeno di placemaking e area verde pop-up. In Italia ha fatto parlare di sé il caso di Bianco, ovverosia il cavalcavia del parco dell’Acqua nel quartiere Rubattino di Milano, trasformato in passerella di sapore brutalista nel 2019, in occasione della sfilata SS20 di Sunnei, il fashion brand di Simone Rizzo e Loris Messina. Ben 4 000 mq ridipinti in bianco ottico che, dopo aver ospitato la sfilata e l’after party, oggi rappresentano un luogo inaspettato nella periferia della città.

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ponte ferroviario a castlefield, manchester.

Nelle intenzioni del progetto c’è un futuro di eventi in via di definizione insieme alle istituzioni e all’associazione di quartiere Vivi Rubattino. Un nuovo senso, sostenibile e sociale, per i nostri dinosauri di cemento è dunque possibile ma, ammonisce Boschetti: «non sempre il recupero aiuta veramente la città: ci sono casi in cui è giusto fare un ragionamento di rigenerazione, altri in cui bisogna avere il coraggio e la forza pubblica per investire nella demolizione». La mancanza di fondi, che sappiamo essere molto frequente nelle nostre amministrazioni, può portare a soluzioni vorrei-ma-non-posso: un po’ di verde sul cavalcavia non basta per rigenerare (il greenwashing è dietro l’angolo), così come una striscia di vernice sull’asfalto non fa una ciclabile. I viadotti, conclude il progettista, sono il simbolo di un’epoca di passaggio, il promemoria inequivocabile di uno stato delle città con numerose problematiche da sistemare. In attesa di un futuro metropolitano pedonalizzato, intanto scopriamo che vivere sotto i ponti, soltanto in questo caso, non è poi così male.

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