The Good Life Italia

Il mezzo giusto, break fuori stagione

Far from the madding crowd: lontani dalla pazza folla. È un tic tutto italiano quello di scordare le grandi conquiste. Durante l’emergenza sanitaria avevamo imparato ad apprezzare il tono minore della montagna di mezzo, soprattutto le sue sussurrate qualità domestiche, i cibi semplici, i paesaggi taumaturgici, l’ospitalità spartana ma sincera, le offerte sostenibili anche dal punto di vista finanziario. Poi, l’estate che se ne è appena andata ha fatto come l’omino della sabbia sugli occhi dei bambini assonnati: ha ricoperto il ricordo con un bel sogno fatto di pacchetti all inclusive, voli intercontinentali dai folli prezzi, spiagge bianche, tramonti con sottofondo lounge. Un peccato aver ceduto alle sirene della vanity fair dell’overtourism. L’estate 2023 ha segnato il definitivo recupero dei dati pre Covid. Anzi, il loro superamento, con la riproposizione degli schemi tipici del turismo di massa, che concentra prenotazioni, consumi e pernottamenti attorno al bimestre luglio-agosto, per poi saltare, in montagna, alle vacanze sulla neve tra Natale e Carnevale. La conferma è arrivata dalla direzione centrale dell’Istat, nel corso dell’audizione alla Commissione Attività produttive della Camera sul piano strategico del turismo: secondo i dati relativi al 2022 elaborati dall’Istituto, infatti, l’incremento annuo delle presenze è stato pari a +39,3% rispetto al 2021, con il recupero del turismo inbound (la clientela residente all’estero), componente della domanda che era stata maggiormente penalizzata dalla pandemia (le presenze dei clienti non residenti sono cresciute del +84,8% e quelle dei residenti del +12,9% rispetto al 2021), e appunto l’eccezionale resilienza della stagione estiva. Una prima stima l’ha prodotta Confcommercio, secondo cui, tra giugno e settembre quasi 30 mln di connazionali hanno trascorso un periodo di ferie in Italia o all’estero per un volume d’affari di oltre 45 mld di € (+10% rispetto al 2022). La destinazione più gettonata è stata il mare, con il 24% delle preferenze e secondo posto per le città d’arte, un grande classico scelto dal 15% degli italiani. Solo l’11%, invece, è tornato in montagna. Dati puntuali sull’anno in corso non ce ne sono ancora, ma il clima degli operatori va nella stessa direzione. Montagna, certo. Ma in che senso?  Scrive il geografo Mauro Varotto, nel suo fortunato Montagne di mezzo (Einaudi, 2020), che il ’900 ha portato a compimento nella montagna italiana il disegno della modernità: «Abbandono e marginalità diffusi da una parte e divertissement turistico dall’altra hanno scavato divari territoriali profondi, che richiedono oggi di essere ripensati». Ora, oltre a incrementare il numero di presenze nelle località più “posh” dell’arco alpino, da Courmayeur alle Dolomiti, ciò che il Covid aveva aiutato a dissotterrare e che il ritorno alla normalità pre-pandemica ha contribuito a ricoprire nuovamente sono appunto le montagne di mezzo o, come tende a denominarle il ministero dello Sviluppo Economico, le “aree interne”, cioè quei luoghi periferici ma non esotici, lambiti e spesso ignorati dal turismo di massa, dipendenti ma scollegati dai centri urbani e, oggi, alle prese con una crisi d’identità generata da un passato industriale che si è trasformato in pulviscolare microimprenditoria, nel migliore dei casi, oppure in desertificazione sociale, agli opposti estremi.

valle maira, piemonte, gli antichi borghi riprendono vita nel cuore delle valli occitane.

 Qua e là, tra Alpi e Appennino, esiste una miriade di piccoli borghi dove negli ultimi anni per resistere allo spopolamento si è scelto di puntare su modelli slow, dove l’esclusività non è data tanto da listini fuori misura, quanto dall’isolamento (parola ormai sdoganata, ma fino a pochi mesi fa realmente apprezzata solo da pochi) e dal numero limitato di strutture ricettive, in controtendenza ai modelli mordi-e-fuggi in cui tutto, dal prezzo della camera ai metri quadrati liberi in spiaggia, viene tirato al minimo. Una scelta spesso premiata, a conferma che sarà pure un’offerta di nicchia, ma si tratta di una nicchia consistente. Il caso forse più interessante riguarda la Val Maira, in provincia di Cuneo. Situata nel cuore delle Valli Occitane, è stata per molto tempo isolata a causa della morfologia del territorio: da terra d’emigrazione nella prima parte del ’900, dagli Anni 50 ha vissuto un declino economico e sociale inversamente proporzionato all’ascesa delle grandi località sciistiche dell’arco alpino. La svolta è arrivata per caso, alla fine degli Anni 90, quando una coppia di escursionisti tedeschi, giunti qui senza un ben precisato motivo, s’innamorò all’istante di queste montagne deserte. La promozione della Val Maira, di conseguenza, è avvenuta inizialmente nei mercati di lingua tedesca per poi estendersi alla Svizzera, alla Francia e in seguito anche a Inghilterra e Scandinavia, ma durante la pandemia anche gli italiani hanno incominciato a salire la provinciale 422 da Cuneo alla scoperta dei borghi di Macra, Marmora e soprattutto Elva, che si apre dopo una serie di tornanti e strapiombi spettacolari: è, quest’ultimo, il paese dei caviè, i cappellai, che compravano i capelli delle donne, li separavano per taglio e colore e li vendevano per creare parrucche poi indossate in tutta Europa. Dronero è però la vera porta della valle, l’antica capitale degli anchoier, gli acciugai, mentre poco più avanti tra boschi di larice, betulla e biancospino partono i percorsi occitani, il circuito escursionistico più frequentato della valle: 12 tappe che dal fondovalle proseguono verso i paesini dei malgari fino a Acceglio, l’ultimo centro abitato, la frontiera. Base medioevale degli Ugonotti, la sua è una storia di eresie, scontri con l’Inquisizione, rappresaglie sabaude. Qui il consiglio è di passare almeno una notte alla vecchia scuola di Chiappera, trasformata in un albergo diffuso con annesso ristorante. Le aule, smantellate, sono diventate stanze per gli ospiti, così come alcuni fienili e baite nei paraggi. Far from the madding crowd, si diceva. Lontano dai luoghi sovraffollati ma anche (potendo) lontano dall’alta stagione. Una ricetta che sulla carta sarebbe vincente sia per i turisti che per l’industria dell’accoglienza ma che, almeno secondo un recente studio della società di consulenza immobiliare World Capital, non sembra essere stata ancor ben interiorizzata alle nostre latitudini. Secondo il report, è infatti Malta a posizionarsi prima per flusso turistico di bassa stagione (76% di occupazione), seguita da Spagna (63,7%) e Francia (60,8%). L’Italia (42,9%) appare sesta in classifica, nonostante il clima favorevole sia autunnale che primaverile dovrebbe favorire il perpetrarsi dei flussi. Di fatto, quindi, abbiamo ancora molto da imparare. E da guadagnare, dato che la spesa turistica nel Bel Paese, adottando il modello Malta che riempie le camere anche a marzo, aprile, ottobre e novembre, potrebbe crescere di circa 7 mld di € all’anno. Buon cibo e buon vino, bagni termali, foliage e sentieri dal minimo dislivello rappresentano la ricetta vincente dei nostri competitor.

le dolomiti s’incendiano al tramonto.

bivacco slow food alexanderalm

la ciclovia alpe adria sul ponte della laguna di grado.

Emblematico il caso Carinzia, la regione austriaca a pochi chilometri dalla frontiera friulana di Tarvisio su cui si snoda buona parte della ciclovia dell’Alpe Adria che, in 400 km, collega Salisburgo a Grado, sulla costa adriatica. In autunno merita soprattutto percorrere in e-bike il tratto che costeggia il fiume Drava, da Lienz fino a Villach, facendo magari una sosta intermedia sul Lago Millstätter per alloggiare in uno dei bivacchi sotto le stelle disseminati lungo i quattro chilometri del sentiero dell’amore. D’obbligo, infine, una cena bio alla baita Slow Food AlexanderAlm. E, tornando al di qua del confine, a proposito di buona cucina fra ottobre e novembre in Trentino come in Alto-Adige si può passare un weekend all’insegna del Törggelen: l’andar per locande, un modo tipico che unisce il sapore delle caldarroste e del vino novello alle gite fuori porta fra i colori accesi del bosco ceduo. Dal 22 al 24 settembre non perdetevi il Festival Trentodoc, nel capoluogo trentino; il terzo fine settimana di ottobre la Festa dell’Uva e, dal 3 al 7 novembre, il Merano WineFestival. In autunno non c’è partita, protagonisti sono sempre i colori: mai sentito parlare del Burning Dolomites della Val Gardena? Da metà settembre gli aghi dei larici cambiano colore, da verdi diventano gialli, poi si tingono di arancio, rosso e marrone. Al tempo stesso un’irradiazione solare particolare colora di rosso le Dolomiti, che si trasformano in cime in fiamme davanti al blu cristallinotipico delle belle giornate autunnali. Uno spettro cromatico da lasciare senza parole. Oppure: provate a scegliere. Perché è prendere una decisione la parte più complicata di questo gioco fuori stagione. Ecco altre quattro variabili offerte dal Trentino. Mezzano, a un soffio da San Martino di Castrozza, è da qualche anno entrato nella schiera dei Borghi più belli d’Italia: forte di una commovente scenografia dolomitica, è una sorta di serbatoio della vita alpina fatto di acqua, orti, architetture, dipinti murali, antiche iscrizioni e cataste artistiche. Se vi trovate invece più a nord, in Val di Fassa, deviate sulla destra per una passeggiata in Val San Nicolò: un luogo che pare uscito da un libro di fiabe e che offre itinerari a piedi già fin troppo polpolari, ma modulabili a seconda di quanto volete camminare, ognuno con un punto ristoro (e che ristoro!). Più slow e discreto, a Comano, sempre in Trentino, vale infine la pena concedersi un momento di relax alle sue terme (comanodolomiti.it). A proposito di slow, ma trekking, all’ombra dell’Adamello, in Val di Sole, visitate le Cascate del Saènt, un luogo dal forte impatto scenografico dove  respirare la vera forza delle Alpi. Infine, la Wolfsschlucht – o Forra del Lupo – una trincea di crinale sull’Alpe Cimbra, scavata fra pareti di roccia, fatta di feritoie, osservatori e caverne che si affacciano su strapiombi e ripidi pendii in faccia al Pasubio, la montagna sacra della Grande guerra. Ma, sacre o incantate, andar per montagne fuori stagione significa scommettere sull’improbabile. Meravigliosamente surreale (il copyright è di Thomas Mann), dominata da una natura che gli isolati insediamenti umani non sembrano voler disturbare anche se dista meno di 20 km da Trento, è la Valle dei Mòcheni, un’isola germanofona di origine medievale con lo sguardo rivolto alle alte vette della superba Catena del Lagorai. Non solo. Lo sapevate che c’è chi ha provato – con successo – a stagionare i formaggi in miniera? Succede in uno dei luoghi più industrializzati del pedemonte padano: in Valtrompia, capitale bresciana del ferro e delle armi (qui ha sede il quartier generale di Beretta, una delle aziende più antiche del mondo dato che nel 2026 compirà 500 anni), si può intraprendere infatti un viaggio a ritroso nell’epopea della damnatio ad metalla di epoca romana e, dal 2020, partecipare contemporaneamente a una cheese experience – un vero e proprio percorso esperienziale all’interno di una di queste miniere alla scoperta dell’antica arte della stagionatura – firmata Zona Alpi con la partecipazione delle aziende agricole di un territorio che, non senza fatica, è alla ricerca di una seconda, più sostenibile esistenza postindustriale.

fuori stagione

vista del lago millstätter

 Le montagne di mezzo dell’arco alpino hanno tanto, tantissimo da raccontare e da offrire. Tuttavia, se è vero come ha scritto ormai più di dieci anni fa l’economista Giorgio Ruffolo che “l’Italia è un Paese troppo lungo”, allora vale la pena superare il Rubicone per gettare un (rapido) sguardo al resto dello Stivale, perché oltre alle spiagge, al mare e al sole, il mondo mediterraneo anche in autunno (o in primavera) può essere capace di stupirci. L’Unesco Global Geopark del Beigua è la più vasta area naturale protetta della Liguria.  Addentratevi nella Foresta della Deiva a Sassello o percorrete la strada megalitica che parte da Alpicella, nei pressi di Varazze, attraversando una meravigliosa faggeta, salite verso Forte Geremia da Masone o al Bric del Dente da Campo Ligure: questi sono solo alcuni dei percorsi che l’Ente Parco consiglia per ammirare i contrasti di colore autunnali, le macchie di colorate che si stagliano contro il blu del cielo o i profili delle montagne. Foreste fitte, valli impervie, natura primordiale, faggete e abetaie, cervi e lupi. Terra di eremi e pievi, di torri e castelli, disteso tra Romagna e Toscana è invece il Parco nazionale delle Foreste casentinesi. Fra ottobre e novembre un’escursione adatta a tutti è il Sentiero Natura di Badia Prataglia, piccola località presso Poppi, in provincia di Arezzo, lungo il torrente Archiano, quell’Archian rubesto citato da Dante nel V canto del Purgatorio, a proposito dell’episodio di Bonconte da Montefeltro che, ferito nella battaglia di Campaldino del 1289 tra guelfi e ghibellini, vide sospinto e disperso il suo corpo proprio nelle acque del torrente in piena. Dalle faggete della Toscana a quelle abruzzesi: spettacolari e immense sono quelle di Val Cervara a Villavallelonga, Moricento a Lecce nei Marsi, Coppo del Morto e Coppo del Principe a Pescasseroli e Cacciagrande a Opi. Un borgo da cui partire per programmare un’avventura in questo mondo incantato è Opi, in provincia dell’Aquila. Da qui si dipartono numerosi sentieri, ideali per una escursione autunnale: per esempio l’F2, che in tre ore arriva alla grotta delle Fate. Passando per i 70 000 ettari del Parco dell’Appenino lucano che attraversa borghi tradizionali come Spinoso e Calvello, boschi come la Faggeta di Moliterno con le sue rare orchidee per giungere sulle vette delle montagne che portano in Calabria, in un attimo, al di là dello stretto, si vede l’Etna. Ed è attendendo l’Ottobrata di Zafferana Etnea, forse l’evento gastronomico più importante del Sud Italia, che fra pupi e pietra lavica, fra miele, funghi e castagne finisce il nostro viaggio, certamente non esaustivo, lontano dalla pazza, rumorosa folla dell’estate italiana.

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