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Bellezze urbane, l’architettura che verrà

La fine di una pandemia che ha messo in discussione tempi e modalità dell’architettura e l’attesa di una Biennale che, con il tema Il Laboratorio del Futuro, affida al progettista aruspice il compito di interpretare e annunciare cosa ci aspetterà domani, rendono necessaria una riflessione sull’attuale stato del progetto, alla luce di una realtà che appare complessa, ricca di contraddizioni e diversità. Mentre le classifiche delle città più sostenibili premiano il Nord Europa, con Copenaghen, Capitale mondiale dell’Architettura 2023 per l’Unesco, che guida la corsa alla neutralità climatica entro i prossimi due anni, crescono i progetti che pongono in primo piano l’ambiente, un mutato rapporto con lo spazio pubblico, nuovi flussi di popolazione e diritto di accesso ai servizi primari. La città di Amsterdam – pronta a dimezzare l’impiego delle materie prime entro il 2030 per attuare un’economia 100% circolare prima del 2050 – continua a sorprendere per vitalità e lungimiranza: è di Mvrdv il grattacielo nuovo di zecca The Valley, un intervento che ridisegna l’intero quartiere di Zuidas con tre torri di spettacolari appartamenti a sbalzo, che accolgono anche uffici, edifici culturali, negozi e ristoranti all’insegna di multifunzionalità, aggregazione e apertura (gran parte degli spazi sono accessibili al pubblico). Gli stessi principi si ritrovano in Nordø, progetto mixed-use da 55 000 mq pronto ad aprire le porte nella Capitale danese, nel distretto di Nordhavn. Henning Larsen ha concepito un’isola virtuosa vestita di mattoni rossi con uno spirito avveniristico: usare l’architettura per favorire la coesione sociale offrendo servizi condivisi tra residenti e ospiti. Dall’altra parte del mondo Sydney sta vivendo un momento di profondo rinnovamento urbano sulla spinta della sostenibilità. Alimentato esclusivamente da energie rinnovabili e per questo unico museo pubblico australiano premiato con sei stelle Green Star, ha da poco aperto le porte il Sydney Modern di Sanaa, primo significativo intervento culturale dai tempi dell’Opera House: 7 000 mq di superficie espositiva distribuiti in padiglioni adagiati sul declivio di una collina, con un concept che non solo amplia e rivitalizza l’edificio esistente, l’Art Gallery of New South Wales, ma crea anche un legame speciale tra architettura e territorio mantenendo la vista su porto e giardino botanico attraverso ampie vetrate, collegamenti esterni e terrazze piantumate.

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il portale di big all’interno di citylife, milano.

Fuori dal centro della città australiana, nella zona del nuovo aeroporto, è invece in corso la realizzazione di un intero quartiere: il Western Sydney Aerotropolis sarà dotato di un’efficiente rete di trasporti e attrattive culturali, tra cui l’Advanced Manufacturing Research Facility (Amrf), “First Building” di tutta la gigante operazione e hub per la ricerca nell’elettronica avanzata, nella robotica e nell’automazione, progettato da Hassell in collaborazione con Djinjama. Immerso nella natura, sarà completato nei prossimi mesi. Di connessione e cultura condivisa parla invece il Richard Gilder Center for Science, Education and Innovation dell’American Museum of Natural History di New York, un nuovissimo spazio per la cultura pensato da Studio Gang per favorire la circolazione di visitatori e informazioni. Le pareti sinuose del suo ventre a forma di caverna sono state realizzate spruzzando calcestruzzo strutturale direttamente sulle superfici, per risparmiare la produzione di casseforme. A pochi isolati di distanza, in 550 Madison Avenue, proseguono i lavori per completare un intervento di verde urbano che unisce il recupero di una torre per uffici e la creazione dell’unico giardino pubblico dell’East Midtown District a Manhattan. Quasi 2 000 mq che trasformano un’area non risolta in un’opportunità per incoraggiare connessioni e offrire un inedito punto di osservazione del quartiere. Tutto è firmato dai norvegesi Snøhetta.  A livello globale, al dibattito sulla salute di natura e cittadini che minaccia previsioni catastrofiche si risponde con ambiziosi modelli di pianificazione urbana per rendere i centri urbani meno inquinati, più accoglienti e funzionali a ogni latitudine di questo martoriato Pianeta. Il concetto della città da 15 minuti, partito dalla Parigi dell’illuminata sindaca Anne Hidalgo, ha conquistato molte capitali mondiali, come Barcellona e Buenos Aires; città policentriche, quindi, come soluzione per una prossimità sostenibile non solo per l’ambiente – perché intende limitare traffico e pendolarismo, incoraggiando una circolazione pedonale e verde – ma anche per le persone, che in questo modo possono riacquisire il tempo speso in spostamenti e assicurarsi l’accesso a lavoro, educazione, salute, intrattenimento. In Italia, l’idea è piaciuta al sindaco di Roma Roberto Gualtieri che ha promesso una città più a portata di mano, inclusiva e attiva a partire da quest’anno, grazie a una serie di progetti municipali che hanno lo scopo di aggirare una densificazione disomogenea.

l’advanced manufacturing research facility, di hassell in collaborazione con djinjama

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new york: in 550 madison avenue, snøhetta crea un giardino pubblico nell’east midtown di manhattan

A Milano il 2023 è iniziato con la proposta del Consiglio comunale di limitare la velocità delle auto a 30 km/h nell’area metropolitana in vista di liberare la città dalle auto private entro il 2050, mentre prosegue il lavoro di rigenerazione delle grandi aree urbane (i 366 000 mq di CityLife aspettano a breve il completamento del portale di Big), che ha avuto un momento chiave nel 2017 con l’accordo di programma per la trasformazione di sette aree ferroviarie dismesse. Tra queste, lo Scalo di Porta Romana, il cui masterplan porta la firma di Outcomist (con Diller Scofidio + Renfro, Plp Architecture e Carlo Ratti Associati), convertirà una superficie in disuso in un distretto in grado di offrire multiculturalità, accesso agile a tutte le funzioni essenziali e un polmone verde di oltre 100 000 mq che ricucirà lo strappo tra quadrante sudorientale e centro. All’interno dell’area sorgerà il Villaggio Olimpico dei Giochi invernali di Milano Cortina 2026, disegnato dallo studio internazionale Som – Skidmore, Owings & Merrill, vincitore del concorso di progettazione con una proposta, che ha immaginato in modo intelligente e responsabile la riconversione delle strutture post evento, puntando sul futuro. «Credo che la progettazione – per quest’anno da poco iniziato e per i prossimi – debba necessariamente confrontarsi con le scottanti questioni che affliggono il nostro presente comune, se vogliamo che dia vita a spazi davvero riusciti. Il modo in cui si è fatta architettura nel XX secolo non è più perpetrabile. Non era sostenibile, né vantaggioso per le comunità o le città», spiega Colin Koop, design architect dello studio Som. Che prosegue: «L’architettura di questo secolo deve rappresentare una svolta e ci sono requisiti precisi da seguire perché questo accada. Innanzitutto sono convinto che la soluzione definitiva alla crisi climatica siano le città, vivibili e ad alta densità. Nel 1977, anno della mia nascita, c’erano quattro miliardi di abitanti sul Pianeta; oggi quel numero è raddoppiato, e arriverà a 12 mld nei prossimi tre decenni». Non possiamo espanderci all’infinito nelle campagne e nella natura selvaggia e occupare suolo ancora e ancora, insomma. Dobbiamo prendere le città di oggi, tutelare o riusare le porzioni che possono trovare nuovi utilizzi e impiegare forme di costruzione più efficienti dal punto di vista delle emissioni nocive. Prosegue Koop: «Il Villaggio olimpico agisce proprio in questa direzione: intende trasformare un vuoto urbano in un distretto vivo. Quindi, secondo punto, è necessario praticare la decarbonizzazione al più alto grado e in ogni tipologia di intervento. E il know-how è già nelle nostre mani, perché oggi sappiamo disegnare edifici net-zero, che usano in modo intelligente i materiali senza sacrificare l’estetica. Terzo: una filosofia incentrata sulle comunità e orientata alla sfera pubblica. Bisogna focalizzarsi su progetti che trascendano la mera funzione per diventare attivatori di un miglioramento sul territorio comune; la pandemia ci ha insegnato che abbiamo bisogno di quartieri dove le diverse attività sono interconnesse». 

il villaggio olimpico, dopo la chiusura dei giochi (settembre 2026)

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Il villaggio olimpico verrà riconvertito nel più grande studentato d’italia.

I tre principi esigono molteplici capacità: incontrare e ascoltare le persone, gestire i servizi nella sfera pubblica, elaborare strategie di retail, adoperare materiali low carbon: «Ci sono segni tangibili di come ci si stia muovendo verso una costruzione più consapevole: il governo francese, per esempio, ha imposto che i nuovi edifici pubblici vengano realizzati con almeno 50% di legno o altri materiali sostenibili e l’aggiornamento dell’International Building Code consente un più ampio uso della tecnica mass timber. La stessa New York sta per lanciare una carbon tax che obbligherà gli edifici a un processo di decarbonizzazione che li renderà autonomi dal punto vista energetico». Purtroppo, l’impressione del progettista, è che ci stiamo muovendo troppo lentamente: «Bisogna trovare clienti con una visione, ma anche giovani diplomati dalle scuole con la voglia di fare questo mestiere. È compito degli studi di progettazione fare scouting alla scoperta di talenti informati, che diano impulso nuovo alla ricerca».

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amsterdam: il quartiere di zuidas con tre torri di appartamenti a sbalzo

il richard gilder center for science, education and innovation dell’american museum of natural history di new york

I lavori di costruzione del Villaggio olimpico sono partiti all’inizio di quest’anno grazie al Fondo Porta Romana, in cui coinvestono Coima, Covivio e Prada Holding. Sarà consegnato entro luglio 2025 alla Milano Cortina Foundation, quindi restituito l’anno successivo a Coima e reso alla comunità cittadina pochi mesi dopo la chiusura dei Giochi (settembre 2026) riconvertito nel più grande studentato d’Italia realizzato in Edilizia Residenziale Sociale, con circa 1 700 posti letto. Gli altri edifici residenziali – parte dei quali si affaccia sul parco attraversato longitudinalmente dal passante ferroviario – saranno destinati per circa il 70% a libero mercato, per circa il 22% a edilizia convenzionata e per il restante 8% a edilizia sociale, mentre l’Olympic Village Plaza diventerà una piazza con negozi, bar, ristoranti e caffetterie. Il tutto completato con servizi connessi all’area metropolitana: «Siamo partiti dall’analisi urbanistica del contesto e abbiamo riflettuto sul significato di “villaggio” come luogo sicuro, aperto, vitale, intergenerazionale e a circolazione pedestre. Abbiamo usato un vocabolario architettonico razionale, fatto di pieni, vuoti e griglie, scegliendo una struttura in cemento, rifinita perlopiù con terracotta, per ribadire il legame con la tradizione italiana». Tutti gli edifici vranno certificazione Leed grazie alla scelta di materiali virtuosi per riuso, riciclabilità ed ecocompatibilità e l’intero intervento sarà Nearly Zero Energy Building: più della metà dell’energia sarà prodotta da rinnovabili, mentre le acque meteoriche saranno raccolte e riutilizzate per riscaldamento e raffrescamento, abbattendo del 40% la CO2. «Sono contenute molta scienza e molta arte in questo modo di fare architettura e dobbiamo captare tutte le evoluzioni per anticipare i tempi. Una delle tendenze sarà la crescita di progetti per salute pubblica e housing sociale, tipologie a lungo ignorate dalle migliori firme e che possono ora attirare l’attenzione. Per questo sono ottimista su ciò che gli architetti s’apprestano a fare. Quest’anno e in futuro».

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