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Folla, addio. Elogio dell’undertourism

l turismo è come l’amore, quando è troppo soffoca. E diventa controproducente: provoca la fuga dall’amato o lo soggioga. Un fenomeno di cui si è parlato molto negli ultimi anni, un periodo in cui – pandemia a parte – i numeri dei turisti sono esplosi, toccando nel 2019 quota 1,5 mld di viaggiatori, i quali però, il più delle volte, si concentrano in poche località, causando l’overtourism. Ossia, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale del Turismo: «L’impatto del turismo su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini o la qualità delle esperienze dei visitatori». Fenomeno in cui negli ultimi anni si è accoppiato l’undertourism, ossia la tendenza di una parte dei turisti di scegliere località alternative, meno frequentate e note. Bergamo, che insieme a Brescia è Capitale Italiana della Cultura 2023, è un buon esempio: dal 2009 al 2019 il turismo è cresciuto del 67%, passando da 670 000  arrivi a 1 mln 250 000, con quasi il 50% di stranieri, che grazie alla crescita dell’aeroporto di Orio al Serio hanno inserito la città nei radar. Diversamente, Brescia, che in provincia da sempre calamita vacanzieri tedeschi grazie al Gardasee (quasi 3 mln nel 2022), non è ancora riuscita a ritagliarsi un ruolo come meta alternativa. Ma l’undertourism è soltanto la ricerca di località insolite e destinazioni alternative? «Undertourism e overtourism, sono uno il riflesso dell’altro. Nella misura n cui prima del Covid si discuteva del turismo che stava travolgendo le città, qualcuno ha iniziato a parlare e praticare un turismo che va in direzione contraria», spiega Claudio Visentin, docente di Storia del Turismo all’Università della Svizzera Italiana.

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Rischio che dall’under si arrivi all’over, Succede al fotogenico Lago di Braies visitato ogni giorno da 15 000 persone, merito dell’effetto amplificatore dei social media.

Val Verzasca improvvidamente etichettata “Le Maldive di Milano”

Undertourism

l’oasi dei laghi nabi nata dalla bonifica delle cave di sabbia del domizio, castel volturno (na)

Il rischio è che dall’under si arrivi all’over in un attimo

he prosegue: «L’undertourism è una reazione, anche polemica, al turismo “instagrammabile” concentrato in poche località dove farsi un selfie e dove si arriva in genere con compagnie low cost», dice Visentin. Una fotografia dinamica l’ha offerta il report Instagrammable Italia 2022 dell’agenzia Extreme, che la scorsa estate ha raccolto 300 000 post Instagram pubblicati tra giugno e agosto: un diluvio di foto di Firenze, Venezia, Roma, Piazzale Michelangelo, Piazza San Marco, Fontana di Trevi, Versilia, Maremma e simili, per non parlare di pizze e altre pietanze e bevande imbandite su tavole di ristoratori seriali. Una mole d’immagini ovvie e tutte uguali delle solite mete, che innesca emulazione, assuefazione e noia, spingendo verso mete alternative a quelle “troppo viste” anche solo virtualmente: «È un turismo fuori rotta, lento, che sceglie destinazioni marginali fino a quel momento impensate e dove – sulla carta – le masse non arrivano». Più facile a dirsi che a farsi. A dettare le regole del mercato sono le mode, ma anche le contingenze geopolitiche, le opportunità economiche e la capacità dei luoghi di entrare a far parte dell’immaginario turistico – non di rado per circostanze abbastanza casuali – e dunque di diventare per qualche stagione o per sempre “the place to be”. Certo è che negli ultimi anni nulla come aver vicino un aeroporto servito da compagnie low cost si è tramutato in un volano turistico per i territori, che infatti hanno investito per attirare le varie Ryanair, Easyjet nei loro scali. Spesso ha funzionato, specie se l’aeroporto un tempo secondario è vicino a una destinazione che si vende da sé, come Venezia o Milano. Come a Bergamo, appunto. Ma anche a Treviso. Dop avere assunto l’astuta denominazione “Venezia (Treviso)”, il suo aeroporto è stato il primo a esser servito da Ryanair in Italia (nel 1998). Trovandosi  a 25 km dalla città lagunare, ma a tre dal centro, oltre a contribuire all’invasione di Venezia, ha non di meno portato turisti nella città veneta, passata da 300 000 arrivi a oltre un milione, di cui la metà stranieri. Altre volte a far scoprire una meta è stata la scelta dell’amministrazione pubblica di investire su un attrattore iconico per posizionare la città sulle mappe e costruirgli attorno una destinazione turistica. Caso di scuola è stato il Guggenheim Museum di Bilbao che, con le sue lastre in titanio disegnate dall’architetto canadese Frank Gehry, ha fatto da apripista. Negli Anni 80 la città si stava liberando dalle ultime inquinanti fabbriche e capì che per attirare visitatori doveva costruire qualcosa che la affrancasse dallo stereotipo della città fumosa e piovosa. Il museo divenne così un’attrazione più per il suo esterno sinuoso, che per quel che vi è esposto. Architettura, quella del Guggheneim, che peraltro ben si presta a essere “instagrammata” e che più di altri in questi anni ha indirizzato le scelte turistiche anche verso località basche che turistiche non erano. Basta qualche post sui profili giusti, magari ripreso dai mezzi di comunicazione, e l’effetto domino è assicurato: la meta poco battuta entra nei radar. Certo, trattandosi di social il rischio che dall’under si arrivi all’over in un attimo. È successo tempo fa alla Val Verzasca, nel Canton Ticino, improvvidamente etichettata come “Le Maldive di Milano” per via di una serie di video e post virali in cui venivano fotografate alcune piscine naturali con acqua smeraldo che si trovano nello stretto canyon. Una meta frequentata quasi soltanto dalla popolazione locale è così stata invasa da centinaia di gitanti in cerca dell’acqua smeraldo ritratta nelle foto, salvo scoprire che si trattava di una manciata di pozze d’acqua per di più gelida. Succede da qualche anno anche in Alto Adige, dove il pur bellissimo e assai fotogenico Lago di Braies – un comune di 650 abitanti in Val Pusteria – è visitato ogni giorno da 15 000 persone: merito della serie Tv Un passo dal cielo, certo, ma soprattutto dell’effetto amplificatore dei social media. Della serie di troppo amore si muore.

undertourism

il borgo siciliano di petralia sottana

undertourism

viterbo:overtourism e undertourism.

civita di bagnoregio e tuscania

Eppure il turismo se ben gestito, potrebbe essere una forza positiva per lo sviluppo delle aree interne, specie quelle di media montagna o collinari. E infatti a un turismo fatto di aria buona, vita sana, passeggiate aspirano i borghi dell’entroterra, diventati mete frequentate nel periodo della pandemia e dei ristretti orizzonti in cui siamo stati confinati, riscoprendo la prossimità. Già 25 anni fa, d’altronde, c’era chi chiedeva alle organizzazioni turistiche pubbliche di darsi da fare per promuovere destinazioni alternative, poco frequentate, ma egualmente o più attraenti. Succedeva in Liguria, a Sassello, borgo di 1 800 abitanti in provincia di Savona, il cui sindaco, Paolo Badano, scrisse una lettera in cui si chiedeva perché alla “alta qualità del mare” non si affianca – per i numerosissimi fan del “nonsolomare” – anche l’alta qualità di quella meravigliosa e vivificante miscela di “aria, sole, cielo, boschi, colline, prati, fresco, sorgenti, cascate” che caratterizza l’entroterra ligure. E proseguiva invitando la Regione Liguria a promuovere non solo le destinazioni sulla costa, ma anche i borghi come il suo che “non ha le onde del mare, ma ha onde bionde di grano sospinte da brezze dolci e frizzanti. Ha un’aria vivificante e freschissima. Ha un sole generoso, ha panorami pittoreschi, ha sentieri da favola, ha albe magiche e sere profumate. Ogni paese del nostro Entroterra possiede virtù. Noi, Sassello, ad esempio, possediamo meraviglie che possono sedurre”. A seguito di quella lettera, su spinta della Regione, nacque l’iniziativa Bandiere Arancioni del Touring Club Italiano pensata per sostenere e promuovere i territori lontani dalla costa e in particolare le località minori che erano a rischio spopolamento e custodivano, però, «un enorme patrimonio di storia, tradizioni, saperi», spiega Isabella Andrighetti, responsabile dell’Area Certificazioni e Programmi Territoriali Tci. La Liguria aveva una costa ormai satura di turisti e la necessità era valorizzare quelli dell’entroterra: da allora il Tci ne ha certificati oltre 270. Alcuni i turisti li ricevevano di già, come San Gimignano – in testa alle classifiche dei luoghi più “instragrammati” della Toscana – o Fontanellato con il suo Labirinto della Masone. Altri erano destinazioni sconosciute o al più mete di proiezione locale, come l’abruzzese Opi in provincia dell’Aquila, Petralia Sottana, nelle Madonie, in Sicilia, o Bergolo, comune di 70 abitanti nel cuneese. Negli anni hanno così visto aumentare il numero di strutture ricettive e di attività d’accoglienza, il più delle volte legate alla produzione alimentare del territorio, perché non c’è nulla che attiri di più i turisti dell’enogastronomia locale, autentica o meno, da portarsi a casa come souvenir. Che può essere un mezzo, purché ben temperato, di favorire quella che l’antropologo Vito Teti definisce la “restanza”, il diritto di restare nei borghi dell’Italia interna, luoghi da proteggere e nel contempo rigenerare, edificando un altro senso dei luoghi stessi. Il rischio che vengano travolti dalla monocultura turistica, però, è dietro l’angolo, e in quel caso il turismo sostituisce l’abitare. È successo, per esempio, al borgo di Civita di Bagnoregio in provincia di Viterbo, paese di poche anime – solo 11 – e tanti turisti, oltre un milione, che svetta fiero e solitario in cima alla sua rupe tufacea collegata al resto del mondo da un esile ponte. «Qui ora fioriscono paninoteche, bancarelle ovunque uguali di prodotti tipici, mussoline, batik, parei e braccialetti», scrive l’architetto e urbanista Giovanni Attili nel volume Civita (Quodlibet, 2020). E così, una storia fatta di mistici silenzi e grida medievali, divenuta nota al mondo perché patrimonio dell’Unesco, finisce svilita, oltre che da una discutibile pensilina che la collega alla città nuova, dalla ristorazione e dal merchandising turistico. A contrasto, si può citare il vicino borgo diffuso di Tuscania che, fuori dai flussi turistici più intensi, mantiene lo spirito dell’abitare e con esso una capacità di quieta e incantevole suggestione. Viterbo stessa, d’altronde, alla cui provincia entrambe le località appartengono, vanta uno tra i centri storici meglio tenuti d’Italia e, presso Bagnaia, Villa Lanza, che nulla ha da invidiare alla tivolina Villa d’Este. Teatro di una delle più spettacolari processioni religiose d’Italia, la Macchina di Santa Rosa, il baldacchino con la statua della patrona della città, trasportato a spalla per le vie a un’altezza che supera i palazzi, Viterbo resta città dell’abitare nonostante la notorietà dovuta all’essere stata sede papale. 

olanda: gouda

olanda: muiderslot

Reinventare il turismo per non far sopperire l’abitare, però, sembra oggi una necessità anche delle grandi città assediate dall’overtourism. Così, alcune amministrazioni hanno iniziato ad adottare soluzioni per distribuire i turisti sul territorio. I più lungimiranti sono stati gli olandesi. Se altrove, da Lisbona a Barcellona fino a Firenze l’unica iniziativa è stata vietare nuovi alberghi, regolare gli affitti su Airbnb, alzare poco democraticamente i prezzi, ad Amsterdam hanno “allargato” la città. Complice gli short break favoriti dai voli low cost, la città era infatti diventata meta turistica in ogni stagione, per chi cerca l’arte e chi vuole lo sballo, così i visitatori erano passati da 11 mln del 2005 ai 22 del 2022. Troppi. Il Comune allora ha deciso di investire sullo “Stadt in Balans”, un piano per evitare che interi quartieri diventino “turistifici” perdendo residenti e servizi sociali in favore di negozi di patatine fritte e depositi bagagli. Tra le soluzioni, il programma “Amsterdam Bezoeken, Holland Zien – ossia “Visitare Amsterdam – conoscere l’Olanda”, che ha esteso i confini della città  ribattezzando la spiaggia di Zandvoort, a una ventina di km dal centro, Amsterdam Beach. Mentre il castello medievale di Muiderslot, a 15 km a sud della città, è proposto come Amsterdam Muiderslot Castle. La validità dei pass dei mezzi pubblici è stata estesa includendo anche queste località extra urbane, oltre ad Haarlem e ai mulini di Old Holland. È servito? Il Covid ha falsato le statistiche, quindi è difficile dirlo. Il tentativo, però, è almeno creativo, non punitivo. A Oslo, invece, all’opposto di Amsterdam, per migliorare la carta undertourism l’hanno giocata per diventare più attrattiva. È stata lanciata la campagna “The Great Escape”, invitando i turisti stanchi delle città affollate e dove per qualunque cosa ci si deve mettere in fila, a visitare la Capitale norvegese dove i musei sono senza coda, le prenotazioni facili, le strade sgombre. Ma al di là del marketing la promozione dell’undertourism può essere anche una scelta di principio, etica e politica. È il caso di The New York Times, che nel 2022, redigendo l’annuale lista dei “52 place to go”, ha privilegiato i luoghi in cui le terre selvagge in via di estinzione sono preservate, le specie minacciate protette, i torti storici riconosciuti, le comunità fragili rafforzate e i viaggiatori possono contribuire a un cambiamento globale positivo del nostro rapporto con l’ambiente e con gli altri. Così, in cima alla lista è finita Chioggia, dipinta come una “miniature Venice” che può liberare la città lagunare dall’overtourism. Vero, ma fino a un certo punto. Perché Chioggia può al più assomigliare ai vecchi quartieri popolari della città quando erano abitati dai veneziani. Per il resto è un centro – ha quasi 50 000 abitanti, più o meno come la Venezia storica attuale – con una identità propria da rispettare: mediterranea, spontanea e caciarona, odorosa di nafta e salsedine, screpolata e vissuta. Sincera come il vero amore

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