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Venezia: al via a Homo Faber, il futuro dell’art and craft

Come si può fondere il caos creativo dell’arte alla metodicità composta della manifattura? Se lo sono chiesti i guest curator che quest’anno hanno ripensato la formula della mostra internazionale Homo Faber: crafting a more human future, in programma da domenica 10 aprile al 1° maggio nei 4 000 mq della Fondazione Giorgio Cini a Venezia, raramente aperta al pubblico. Una celebrazione del new craft che vede nel disegno per esempio di Stefano Boeri e nella curatela del gallerista milanese Jean Blanchaert una visione meno stereotipata del classico concetto di maker. Come? Grazie a Next of Europe: una mostra (e una raccolta) di 150 pezzi provenienti da quegli atelier d’Europa i cui maestri artigiani hanno deciso di tramandare il loro sapere a una nuova generazione di apprendisti. I quali, dal vivo, scolpiranno, fileranno e intaglieranno. Davanti a un pubblico accompagnato nella visita da 100 studenti provenienti a loro volta dalle scuole d’arte e mestieri di tutto il Continente, che in un programma di scambio culturale incarneranno in modo immediato, e grande, il mondo vivo e proiettato verso il futuro dell’arts and craft europeo. Ospitata nella Sala degli Arazzi della Fondazione Giorgio Cini, sull’isola veneziana di San Giorgio Maggiore, Next of Europe è una delle 15 mostre tematiche che compongono la seconda edizione di Homo Faber.

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È iniziata la mostra Homo Faber: che cosa vedere

Curata da Alberto Cavalli, organizzata da Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, in partnership con la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, la Japan Foundation e la Fondation Bettencourt Schueller, Homo Faber è stata pensata per far incontrare in maniera sorprendente, domanda e offerta nel panorama dell’artigianato. Non a caso dietro la manifestazione – che scommette non soltanto sul fascino dell’artigiano geniale, ma mette tutto questo in relazione con grandi marchi come Hermès, Montblanc e Vacheron Constantin – c’è un’operazione di recruiting di altissimo livello sostenuta da Johann Rupert e Franco Cologni, il primo a capo della conglomerata svizzera del lusso Richemont, che comprende 25 realtà tra distribuzione (il gruppo Yoox-Net à Porter ad esempio) e storiche maison tra le quali, oltre alle già citate, spiccano Chloé, Buccellati e Panerai. Il secondo, milanese e co-fondatore di Michelangelo Foundation, agitatore culturale, mecenate, nonché ex presidente del gruppo Cartier. Ogni brand, miscelandosi ad altre realtà, assume il ruolo di protagonista in mostra, di mecenate o addirittura di curator brand, in un’interessante applicazione del concetto di sponsorship che si muove con gli stessi crismi del mecenatismo culturale. Ben 15 eventi principali si diceva. 400 pezzi unici nati dal sapere e dalle menti di 350 maestri provenienti da 30 diversi Paesi europei. Mostri sacri ma anche giovanissimi incursori come l’artista tessile Anya Paintsil, che miscela in colore e texture i suoi heritage gallese e ghanese.

I 22 curatori e designer di homo faber 2022.

Allestimento della prima edizione di homo faber.

L’essenza dell’artigianato 

E poi figli ostinati dell’utopia come l’origamista Juho Könkkölä, ventiquattrenne finlandese in grado di creare sculture stupefacenti, senza tagli né incollature, da un singolo foglio di carta piegata e ripiegata: la sua ultima opera Dueling Knits, che immortala l’atto spadaccino di due cavalieri in combattimento, ha implicato 110 ore di lavoro e oltre 5 000 pieghe, per realizzare una scultura candida a partire da un singolo foglio 95×95 cm (vedi approfondimento a p. 98). A immaginare ogni singolo percorso espositivo sono stati chiamati 22 curatori – tra i nomi: Michele De Lucchi, il regista e videoartista Bob Wilson, la fashion curator Judith Clark, l’esperto di arte meccanica Nicolas Le Moigne e il designer giapponese Naoto Fukasawa – attenti a tenere in piedi il più possibile il dialogo tra la tradizione artigianale europea e quella del Giappone, Paese ospite di questa edizione. È in questo solco che verrà conferito onore ai Ningen Kokuhō, i cosiddetti tesori nazionali nipponici, titolo che viene conferito a onorabili testimoni dei mestieri d’arte che si fanno portatori di beni culturali tangibili e intangibili. Nella cornice della sala del Cenacolo Palladiano sarà allestito il Giardino delle 12 pietre, ciascuna delle quali servirà da altare per altrettanti oggetti creati dai Ningen Kokuhō. Ci sarà Imaemon Imaizumi XIV, ceramista e maestro della tecnica delle smaltature sovrapposte, quattordicesimo successore della dinastia familiare. Poi Sonoko Sasaki, che tinge la seta con colori derivati da erbe e foglie usando la tecnica di tessitura kasuri, insignita in patria dall’Ordine del Sol Levante. E poi Noboru Fujinuma, che intreccia sottili bastoncini di bambù per farne cestini, secondo un’arte trasmessa al Giappone dalla cultura cinese Tang dell’VIII Secolo. Un mondo lento in cui la distinzione tra creatività e sostenibilità non è esistita mai.

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