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Taglio imperiale, il bello e il buono della sartoria a Vienna

Passeggiando per le strade di Vienna la prima cosa che si nota è l’architettura, a volte sobria, a volte imponente, a tratti romantica. Poi si passa alle vetrine, magari di negozi d’abbigliamento, dove accanto ai grandi marchi del fast fashion e dello sport, non mancano piccole e grandi sartorie. Infine, si noteranno le persone e i loro stili di vestiario, dove non mancano i contrasti: dall’athleisure, crasi di athletic leiusure, al formale. Un caso più unico che raro. Adolf Loos, architetto e acuto osservatore della sua epoca, scriveva nel 1898: “A che serve avere doti, se poi non si ha un bell’abito per valorizzarle?”. E un “buon abito” non è necessariamente un “bell’abito”. Qui si parla di bellezza della fattura, di qualità dell’esecuzione, di ottima interpretazione, come accade nella musica. Ne parliamo con Arthur Arbesser, giovane stilista nato e cresciuto a Vienna ma oggi di base a Milano. Le parole di Loos lo portano a riflettere sulla storia e sul presente della sua città. «Adolf Loos parla della golden age di Vienna, quando anche scienza e tecnica parlavano dell’arte, musica inclusa». Se ne sente un’eco ancora oggi, che spiega perché nelle strade di Vienna, in pieno giorno, sia piuttosto comune incontrare ragazzi in smoking o ragazze in lungo: «Noi viennesi, fin da ragazzi andiamo alle scuole di ballo. La Tanzschule Willy Elmayer è quella più quotata e chic. Ti dà anche delle dritte su come comportarti da gentiluomo, come aprire la porta, e così via. Impari il valzer, il fox-trot, la rumba e la samba, ma devi andare in abito, con cravatta e camicia. A 17 anni alle quattro di pomeriggio prendevo la metro e andavo a questa scuola vestito. Mi sentivo ridicolo, ma anche speciale». Oltre alla scuola di ballo, ci sono il teatro e altre occasioni nella quali sfoggiare un abbigliamento formale, dove l’occasione fa il look: «Con i miei genitori siamo andati tantissimo all’opera e a Vienna comunque una cravatta, una giacca, una camicia, te la metti. Il ballo è un’abitudine in tutta l’Austria. C’è il ballo di fine anno della scuola, dove vai come se andassi a un club o in discoteca a 18 anni, a divertirti e a ubriacarti. Però comunque vai in tuxedo e questa cosa è bellissima!». Non si tratta soltanto di eventi esclusivi, riservati alla bella società. «Ci sono balli in cui il biglietto costa tantissimo e ogni bevanda è carissima. Ma c’è anche il ballo dei pompieri, o il ballo della polizia, il ballo della maturità. E tutto resta legato a un determinato modo di vestirsi e quello nel tempo non è cambiato. Le ragazze vanno in abito lungo, i ragazzi in abito e cravatta»

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kastner & dronia è considerata da molti il futuro della sartoria viennese.

retrobottega di mühlbauer

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i cappelli di mühlbauer vantano collab con kenzo e comme des garçons.

Il bello si lega a doppio filo con il ben fatto, unendo la tecnica sartoriale a un’estetica precisa, spesso debitrice della tradizione. Stiamo parlando di sartoria, non di moda, anche se la storia recente dimostra che gli sconfinamenti esistono. Bastano quattro nomi: Rudi Gernreich, Helmut Lang, Andreas Kronthaler, Carol Christian Poell. Per chi ama la moda personaggi di culto, che spaziano dallo sport, al minimalismo artistoide Anni 90, al decostruttivismo punk, all’artigianato ultracerebrale. Ma ciascuno ha ridefinito qualcosa, varcato una soglia, nel nome della forma, della modellistica, della struttura. Senza la capacità di confezionare un capo in maniera magistrale, senza la tecnica al servizio del bello, non avremmo avuto l’unisex di Gernreich, l’essenzialità di Lang, le costruzioni di Kronthaler, le sculture da indossare di Poell. Proprio nello studio milanese di Poell (ma anche da Armani) ha lavorato Onka Allmayer-Beck. Oggi è di base a Vienna, dededicandosi alla ceramica, ma la sua formazione alla Central Saint Martins di Londra e le sue esperienze italiane le consentono di avere uno sguardo paneuropeo sulla questione sartoriale: «Il mio studio è nel cuore della città, dove molte persone lavorano in ufficio e noto tantissime giacche e cravatte. Inoltre, a un ballo o all’opera la gente si veste bene». Senza l’occasione, invece, vince il comfort: «Abbiamo anche vestiti bruttissimi! Ho vissuto a Londra e a Milano e tornare a Vienna è stato uno shock: pantaloni con le zip al ginocchio e con tante tasche, modello utility. Mai visti così tanti in vita mia come qui!» Alcuni contrasti sono anche innovativi: «Nonostante Vienna resti una città ipertradizionalista, può sorprendere. Penso a Johanna Kastner, con Kastner & Dronia». Per molti il futuro della sartoria viennese. Sarta donna in una città di sarti uomini, realizza abiti per una clientela maschile (60%) e femminile (40%) di tutte le età. L’atelier non è su strada, ma in un appartamento. Sicuramente non le manca la voglia di cambiare le cose e lo ha fatto partendo dai fondamentali del mestiere.  Ci racconta: «Ho iniziato a imparare le basi in Inghilterra, a Londra, ma per lavorare in modo preciso mi sono spostata a Milano, perché la raffinatezza è più italiana che inglese. Ho anche lavorato da Knize, culla dello stile tradizionale viennese».

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dal 1816, e da sette generazioni, la famiglia scheer produce scarpe su misura fatte a mano

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Susanne Bisovsky quando la sartoria incontra il folklore

Anche Loos individua l’unicità della sartoria viennese in una vocazione europea: “Se a Vienna possediamo parecchie di queste rare case di moda, lo dobbiamo solo a una fortunata circostanza: la nostra alta nobiltà, che frequenta assiduamente la drawing room della regina, ha commissionato molti abiti in Inghilterra e così facendo ha introdotto a Vienna il buon gusto nel vestire e portato la sartoria locale a un livello invidiabile. Si può affermare senza timore di sbagliare che i membri dell’alta società viennese sono i meglio vestiti del continente, poiché anche gli altri sarti hanno guadagnato dal punto di vista qualitativo grazie all’influenza di queste case di moda”. Al mix Johanna ha aggiunto l’Italia, con lo scopo di portare aria nuova a casa sua: «I viennesi sono molto, molto tradizionali, più degli inglesi e degli italiani. Puoi vedere i giovani vestirsi come i loro padri e come i loro nonni, hanno tutti un’uniforme. Gli italiani sono più coraggiosi. Piacciono loro tessuti e colori diversi, più vivaci, forme più sagomate e raffinate». Ma i tempi cambiano anche in una pratica così tradizionale. Da quando ha avviato la sua attività qualcosa si è trasformato: «Abbiamo notato che la direzione sta andando verso un “classico casual”. I nostri clienti non indossano più solo abiti. L’abito resta per il lavoro, ma per il tempo liberano indossano pantaloni di vari colori, con giacche sportive in diversi pesi». Per fortuna non chiedono pantaloni con zip al ginocchio, ma si conferma il desiderio di uno stile più sportivo. Un altro cambiamento riguarda la clientela femminile: «Più donne stanno scoprendo il completo su misura. Diventa necessario anche per il lavoro, perché ora sono in posizioni più alte e vogliono un power suit. Lo cercano perché, naturalmente, quando hai un abito fatto su misura, ti senti più forte, più consapevole e al sicuro». La sartoria viennese è dunque viva e in sintonia con i suoi tempi. Come accadeva ai giorni di Loos, ancora oggi tutti i tipi di persone, di ogni genere, di ogni età, in ogni occasione, in ogni momento, vogliono esprimersi e raccontarsi attraverso gli abiti. Ma soprattutto, come prima e (forse) più di prima, “vogliono anche che i loro abiti siano belli”

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