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Art hotel

Una notte all’Art Hotel

Sebbene l’architettura non cambi, “è il modo in cui la si osserva e la si vive a mutare nel tempo”. La frase di Jun Aoki, direttore del Kyoto City Kyocera Museum of Art e architetto incaricato insieme a Tezzo Nishizawa del suo lungo restauro, ben si addice a Kyoto. Unica città, tra i grandi centri del Giappone, a conservare un gran numero di edifici eretti prima della Seconda guerra mondiale, Kyoto, pur non essendo più dal 1869 la capitale del Paese, ne rappresenta ancora il cuore pulsante sotto il profilo artistico e culturale. Per merito dell’architettura, e dei numerosi templi buddhisti e dei santuari shintoisti che la compongono, è stata dichiarata – nel 1994 – Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco. Anche per questo, la frase di Aoki s’intona perfettamente non soltanto al Kyoto City Kyocera Museum of Art, ma a edifici dai quali siamo molto meno abituati ad aspettarci sublimi esperienze estetiche, come gli hotel e persino i caffè della città.

Ma raccontiamo la storia dall’inizio partendo proprio dal Kyocera Museum, il cui restauro ha rappresentato il filo conduttore di una peculiare rigenerazione architettonica della città che, dagli edifici storici – e attraverso di essi –, si è spinta fino alle strutture ricettive, a quelle turistiche e di business, di una città che, accogliendo ogni anno 50 mln di visitatori – oltre la metà dei quali stranieri–, ha cercato instancabilmente di capire come  mantenere un’armonia tra la propria identità e la vocazione commerciale.

Costruito nel 1933 il Kyocera fu concepito in Crown Imperial Style, secondo la definizione dell’architetto Shimoda Kikutaro, che in quegli anni lasciò impresse nell’architettura giapponese numerose testimonianze del grande interesse del Paese per l’Occidente. L’edificio che è caratterizzato da un’impronta stilistica decisamente moderna e occidentale, appare però sormontato da una sorta di cupola a forma di corona che evoca l’estetica giapponese e che si staglia nel distretto cittadino di Okazaki sullo sfondo delle rigogliose colline di Higashiyama. Il restauro del museo – avvenuto tra il 2015 e il 2018 per opera dagli architetti Aoki e Nishizawa – modificò anzitutto l’ingresso, spostandolo dal primo piano a quello inferiore e cambiando in questo modo la percezione dell’architettura esterna. La facciata in vetro così è diventata l’elemento d’incontro tra antico e moderno, permettendo di abbracciare con la vista la spazialità della nuova Kyocera Square. La piazza, pertanto, è diventata un luogo da abitare che ha rinnovato, a sua volta, il modo in cui il museo viene vissuto. 

Art Hotel

Il blue bottle coffee

Il blue bottle coffee

Il restauro ha così apportato numerose inserzioni contemporanee: all’esterno, con l’Higashiyama Cube, una galleria destinata a varie forme di arte contemporanea; all’interno, con la Central Hall, che grazie alla sua scala a spirale collega tre piani espositivi: il North Wing Atrium, percorso da una balconata alta due piani, e il Triangle, uno spazio sotterraneo riservato agli artisti emergenti. Questi interventi proiettano il Kyocera – il più antico museo di arte pubblica del Paese –, con i suoi capolavori di pittura dell’era Meiji e Showa, tra le più importanti istituzioni giapponesi d’arte contemporanea. Allo stesso tempo, lo eleggono anche a simbolo di quella new wave architettonica della Kyoto degli ultimi anni, che si è posta come obiettivo il rinnovamento degli edifici storici. Una matrice che, come anticipato, è andata ben oltre il perimetro monumentale della città.

Il BnA Alter Museum, infatti, a dispetto del nome, non è affatto un museo bensì un hotel. Tuttavia, uno spazio espositivo finisce comunque per sembrarlo e in un certo senso lo è, dato che le sue 31 camere potrebbero essere scambiate per altrettante gallerie permanenti d’arte contemporanea. È questa, infatti, l’esperienza che questo e altri “art hotel” propongono a chi vuole soggiornarvi e che si potrebbe ben riassumere nella frase “una notte al museo”.

Il concetto, introdotto dal collettivo BnA – le cui iniziali stanno per Bed and Art –, è innanzitutto quello di favorire l’incontro tra giovani artisti, che molto spesso non hanno abbastanza mezzi per vivere e portare avanti i propri progetti, con le comunità locali e i viaggiatori appassionati d’arte che vorrebbero, ma non trovano, piccole gallerie con le quali stabilire un rapporto che non si esaurisca in una semplice visita. La speciale interazione che nasce tra gli artisti che hanno ideato le camere e chi vi soggiorna, risiede nel fatto che una percentuale del costo sostenuto per il pernottamento vada ai primi. Gli ospiti diventano così finanziatori, benché ex post, del progetto architettonico concluso grazie all’opera di 15 artisti giapponesi selezionati per la loro impronta creativa e ribelle.

ace hotel

Art Hotel
art hotel

ace hotel

A differenza delle due precedenti location di BnA costruite a Tokyo, che non vanno oltre i limiti della scena artistica underground, nell’Alter Museum di Kyoto si è aperta una strada nuova.  I limiti fisici e concettuali di quello che, visto dalla strada, pare solamente uno stretto parallelepipedo alto dieci piani – progettato da Toyo Architects e realizzato da Engineers Office – appaiono forzati dall’esplosione di colori e idee provenienti dall’interno. Qui, a seconda delle camere, si passa dai cinque mega schermi ad alta risoluzione di Daito Manabe che, in Continuum (la sua art room), offrono una straordinaria esperienza audiovisiva, alla grande immersione cromatica della camera-installazione Nextefx. In questa, lo street artist Mon Koutaro Ooyama ha disegnato su tutte le pareti della camera, soffitto compreso, un gigantesco drago, la cui presenza è amplificata dai Led che cambiano in una sequenza di 12 colori. Ma c’è anche spazio per Dream of a Trip, Journey of a Dream degli artisti Lulu Kouno e Asitanosikaku: una camera pensata per viaggiare e sognare, dormendo in un letto galleggiante e circondati da pareti dolcemente curve, colorate da piccoli disegni.

Se gli esterni geometrici del BnA Alter Museum non la dicono tutta sul contenuto creativo degli interni, lo stesso non può dirsi dell’Ace Hotel, aperto anch’esso a Kyoto nella primavera del 2020. Contraddistinto da interni contemporanei, anche se più sobri di quelli del BnA Alter Museum, l’esterno fa subito capire che non ci si trova di fronte a un hotel qualsiasi. La sua cifra esprime la personalità unica dell’edificio originario, progettato dal maestro modernista Tetsuro Yoshida nel 1926 come sede della Kyoto Central Telephone Company, conosciuto con il nome di Shinpuhkan. In seguito, l’architetto Kengo Kuma in collaborazione con lo studio californiano Commune Design è intervenuto mettendo in relazione l’entità storica dell’edificio con quella contemporanea e collegandolo in modo diverso con le strade adiacenti, vie che sembra quasi lo attraversino creando una loro estensione. A fare da contraltare al monolite di mattoni della parte storica dell’edificio vi è la leggerezza degli interni, gli alti soffitti, le finestre ad arco e una molteplicità di cortili con giardino. Nelle intenzioni della proprietà, il gruppo Ace di Seattle, questo hotel di Kyoto – il loro primo in Asia – è destinato a diventare un vero e proprio contenitore culturale, simbolo della tradizione artistica multidisciplinare della città. 

bna alter museum

bna alter museum

’architetto Kengo Kuma ha interpretato a modo suo la memoria dell’edificio, privilegiando un design sobrio, declinato con materiali classici e colori non sgargianti, così che nelle stanze doppie è possibile ancora respirare l’atmosfera degli uffici di un tempo, con la disposizione delle scrivanie rimasta invariata.

L’intenzione del gruppo non era quella di apparire chic, bensì di trasudare personalità. La lobby funge da vetrina della moderna abilità artigianale giapponese, grazie alle opere d’arte luminose sulle pareti, ai tessuti di Shobu Gakuen – una comunità artistica del sud del Giappone – e alle installazioni al neon create da Nobuhiko Kitamura. Una caffettiera realizzata con stencil su tessuto dall’artista 97enne Samiro Yunoki, segna l’ingresso della Portland Stumptown Coffee Roastery, interna all’hotel, incontro tra Oriente e Occidente che prosegue nelle camere e nei tre ristoranti dove il banco della bar&taco lounge Piopiko è stato realizzato dall’artista Ido Yoshimoto con legno californiano. A segnare ulteriormente l’incontro tra Est e Ovest, il ristorante Mr. Maurice’s Italian prepara pizze nelle quali il taleggio incontra le foglie di Shiso e le verdure di stagione di Kyoto. L’estensione del corpo principale dell’edificio, ideata da Kuma, è una moderna interpretazione del tema della machiya giapponese, sormontata da una serie di pannelli fluttuanti nello spazio, che filtrano la luce e il vento. D’altronde, al tema della machiya – una tipologia di casa nata nel periodo Heian che univa sotto lo stesso tetto abitazione e attività commerciale – sono state date di recente interpretazioni contemporanee. È il caso dell’azienda californiana Blue Bottle Coffee, che ha sempre puntato – negli Stati Uniti e in Giappone – non solo sulla qualità della bevanda, ma sul design dello spazio in cui la si degusta. Il café di Nanzenji, a Kyoto, vicino all’omonimo tempio, uno tra i più famosi della città, si trova in una bellissima machiya in legno, alla quale si accede attraverso uno spazioso cortile, tipico di questo genere di architettura. Gli interni, minimalisti e arredati con uno stile moderno, spiccano per l’eleganza senza tempo e per i soffitti a volta, distintivi di quella che resta pur sempre una casa centenaria. Entrando si è protagonisti di un vero e proprio salto nel tempo, mentre si ammirano gli originari soffitti con travi in legno e le pareti opportunamente lasciate parzialmente grezze. Anche i noren, i tradizionali divisori in tessuto posizionati tra le stanze, – su pareti, porte o finestre – forniscono un ulteriore tocco di autenticità all’ambiente. Soltanto il logo della bottiglia, i lunghi banconi e le sedute, sembrano avere il potere di ricordarci che siamo nel terzo millennio.

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Rokkaku, location ripartita tra café e officina per la riparazione di biciclette, è a sua volta un edificio che vanta una storia centenaria, ma dallo stile più intimo e raccolto. L’intervento di Schemata Architects ha rispettato storia e materiali del luogo, come il legno di cedro di Kitayama, usato anche nelle sale da tè, affidando a una lama di vetro trasparente il compito di dividere le due attività mantenendole comunque a vista. Una grande vetrata come elemento contemporaneo inserito in una machiya, si ritrova anche nel negozio di un creatore di kimono: Souhee.

Il mercato giapponese dei kimono, da decenni in declino, ha visto di recente una rinascita. Souhee ha dato il suo contributo affidandosi all’architetto Joe Chikamori. È stata così installata una facciata di vetro ondulata che annulla i confini tra interno ed esterno così da non ostacolare la vista del giardino sul retro. Gran parte della struttura esistente dell’edificio è stata mantenuta anche nel caso del restauro della sede originaria della Nintendo che, lo scorso aprile, ha riaperto dopo essere stata trasformata nel Marufukuro boutique hotel. L’edificio, risalente al 1930 e costruito in uno stile Art Déco nella zona di Kagiyacho, a nord di Kyoto Station, è stato recuperato da Tadao Ando. La sua mano è visibile nelle lastre di cemento lasciate a vista, così come in cemento è stato realizzato anche l’ampliamento. Il nome “Marufukuro” discende da quello della società, Marufuku Co. Ltd, che cambiò poi in Nintendo Playing Card. L’attuale Nintendo, leader mondiale nel settore dei videogiochi, discende infatti dall’azienda che, un tempo, produceva carte da gioco. Per questo le quattro parti dell’edificio prendono il loro nome dai quattro semi “francesi”: cuori, fiori, quadri e picche.

Un’atmosfera di nostalgia aleggia in tutto l’hotel, la cui biblioteca, denominata “dNa”, è uno spazio unico dedicato alla storia della Nintendo e della famiglia Yamauchi, ricco di oggetti originali e memorabilia. Singolare la Marufukuro Suite, l’unica tra le 18 camere dell’hotel a estendersi dalla parte storica dell’edificio a quella nuova. Una sorta di continuum tra antico e moderno che, in fondo, è la cifra della stessa Kyoto.

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