WorldPiste ciclabili in Italia: quali sono le città più bike friendly

Piste ciclabili in Italia: quali sono le città più bike friendly

Il tema delle piste ciclabili in Italia è sempre più attuale: quasi tutte le città del nostro Paese stanno migliorando in termini di infrastrutture per bici e monopattini, ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Soprattutto dal punto di vista culturale.

Erano gli Anni 70 quando alcuni membri di Stop de Kindermoord, il movimento di protesta contro il dominio delle automobili ad Amsterdam, tracciarono le prime linee di vernice sull’asfalto della capitale olandese per garantire ai ciclisti uno spazio ad hoc. Partendo da quelle corsie rudimentali, Amsterdam divenne in pochi decenni una città con più biciclette che residenti. L’Italia non ha la cultura, le risorse e la classe politica per diventare come i Paesi Bassi. E la nuova rete di “bike lane” (le cosiddette “corsie ciclabili”) nata dopo le restrizioni della primavera 2020 non ci renderà un paradiso ciclabile. Per la prima volta nella storia, però, il nostro Paese sta guardando al Nord Europa non più come un modello irraggiungibile, ma come un esempio da seguire per rivoluzionare i centri urbani. Le nuove sfide ambientali e la concentrazione della vita nelle città hanno convinto le amministrazioni a fare un tentativo per invertire la tendenza e su questo la pandemia ha avuto un effetto acceleratore. Nel 2020, secondo Legambiente, sono stati realizzati 193 nuovi km di corsie ciclabili.

Le piste ciclabili in Italia sono in aumento, ma non basta 

I vari Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (Pums) prevedono inoltre la pianificazione di 2 626 nuovi km che andranno ad aggiungersi ai 2 341 km attuali in 22 città italiane. Numeri incoraggianti. Tuttavia l’Italia – stando ai dati dell’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti (Isfort) – è ancora settima in Europa per numero di ciclabili per milione di abitanti. «Stiamo andando più veloci che mai, però», sostiene Alessandro Tursi, presidente della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (Fiab). La diffusione delle ciclabili agili è stata accompagnata da una svolta normativa: «Abbiamo recuperato 20 anni di ritardo», aggiunge. Nel codice della strada, oltre alle ciclabili, sono stati introdotti il “doppio senso ciclabile”, le “case avanzate” ai semafori che regolano gli incroci, le “strade urbane ciclabili” con limite a 30 km/h e precedenza alle bici. Il cambiamento è stato incentivato dal Buono Mobilità, grazie al quale nel 2020 sono state vendute 2 010 000 biciclette, il 17% in più rispetto al 2019: «Più di 200 000 elettriche, ideali per il nostro territorio collinare», dice Tursi. Le bici a un certo punto sono diventate introvabili: la componentistica, in genere proveniente dall’Asia, non riusciva a soddisfare la domanda. Ed ecco che nel giro di pochi mesi molte città hanno cambiato volto, imponendo un nuovo equilibrio tra automobilisti, pedoni e ciclisti. Le ciclabili hanno tolto corsie e parcheggi per le auto, che in Italia – secondo Paese più motorizzato d’Europa – sono ancora intoccabili.

Più bici, meno auto: non c’è alternativa

Per stimolare i cittadini a usare la bici o il monopattino, però, le infrastrutture non bastano: servono indirizzi urbanistici nuovi, che non riproducano l’errore di puntare sempre e comunque, come si è fatto con le auto, su percorsi rettilinei e ultraveloci e di conseguenza pericolosi. Inoltre, incentivi (i rimborsi per chi va al lavoro in bici sono molto rari) e meno traffico a motore. Biciclette e automobilisti devono poter convivere sulla stessa strada anche senza ciclabili. Ma in Italia è ancora difficile. «Il dibattito è di retroguardia anche in città come Milano, dove le auto sono parcheggiate ovunque. Il cambiamento deve essere culturale oltre che strutturale», afferma Federico Parolotto, senior partner di Mobility in Chain, società che lavora da più di dieci anni su progetti di mobilità sostenibile. Nel primo trimestre del 2021, secondo l’Associazione Sostenitori e Amici Polizia Stradale (ASAPS), in Italia sono morti 44 ciclisti: un record negativo. L’Olanda è, al contrario, uno degli Stati in cui è più sicuro spostarsi pedalando: si contano in media otto vittime per miliardo di km percorsi in bicicletta rispetto alle 51 dell’Italia (International Transport Forum). Questo perché, negli anni, il numero di automobili è diminuito grazie a misure drastiche.

Le auto elettriche non sono la soluzione al problema 

Puntare tutto sull’elettrificazione delle auto non è risolutivo: per spazio occupato e pericolosità per ciclisti e pedoni, le e-car sono identiche alle auto a combustione. In più, secondo uno studio dell’Università di Oxford, le loro emissioni restano 30 volte superiori a quelle di una bicicletta. Mentre secondo una tabella elaborata dal sito tnmt.com, che tiene conto anche dei processi di produzione e smaltimento delle componenti, le e-car producono più CO2 di treni, scooter a benzina e autobus. La casella “0 emissioni” è assegnata soltanto ai pedoni. Ma cosa accadrebbe se uno di questi sostasse a lungo su un tavolino di un bar riscaldato da un fungo da dehor? Inquinerebbe come un cittadino che utilizza un mezzo a motore. Queste stufette – che la Francia sta per vietare – emettono infatti in otto ore la stessa quantità di CO2 di una moto che viaggia per 350 km. Insomma, realizzare ciclabili, piantare alberi, installare ricariche ed elettrificare le flotte di mezzi pubblici è importante, ma non basta: serve un approccio di sistema.

Classifica delle Città italiane bike friendly.
Metri di piste ciclabili per 100 abitanti
Reggio Emilia 45.7%
Cremona 33.5%
Cuneo 32.4%
Cesena 29%
Mantova 28.4%
Ravenna 27.1%
Verbania 25.3%
Cosenza 24.6%
Treviso 23.2%
Vicenza 23.2%

Dopo la pandemia, tutto come prima

Tornando ai numeri sulle piste ciclabili in Italia, la città in cui sono state realizzate più corsie ciclabili nel 2020 è stata Milano (35 km), seguita da Genova (30), Roma (15,7) e Torino (15,5). Solo 9,7 km a Bologna, che però partiva da una buonissima base: l’obiettivo del Comune è arrivare a quota 1 000 km totali di ciclabili (ora sono 300) entro il 2030. È stato invece il capoluogo lombardo a fare da apripista italiano nella mobilità sostenibile “post-Covid”. Tuttavia, come specifica Federico Del Prete, responsabile mobilità e spazio di Legambiente Lombardia, «Milano non ha realizzato le ciclabili di emergenza che hanno permesso a Parigi di fare un salto. Ha realizzato 35 km in velocità già previsti, che ora sono già obsoleti perché strapieni di gente». In linea generale, le città più “bike friendly” rimangono quelle di medie dimensioni al Centro-nord. Secondo il rapporto Ecosistema Urbano 2021 di Legambiente e Ambiente Italiain vetta c’è Reggio Emilia con 45,7 m equivalenti di ciclabili ogni 100 abitanti. Seguono Cremona (33,5 m), Cuneo (32,4), Lodi (29,1), Cesena (28,5), Mantova (28,4) e Ravenna (27,1). Da non sottovalutare Pesaro con la sua Bicipolitana: una rete metropolitana di superficie (con mappe, linee e “fermate”) in cui le rotaie sono le ciclabili. Purtroppo, nessuna città del meridione figura tra le prime 10: «Molte città stanno recuperando terreno, ma al Sud non si registrano slanci, tolte Palermo e Bari», ci spiega Anna Donati dell’Alleanza Mobilità Dolce (Amodo). Al di là degli ottimi dati sul infrastrutture e vendite, la sensazione, però, è che si sia già un po’ perso l’entusiasmo dovuto ai miglioramenti degli ultimi due anni.

« Il traffico automobilistico sta crescendo del 20%
rispetto ai livelli del 2019
».

Se nel 2020 gli spostamenti in bici sono aumentati del 27,5% rispetto al 2019 (Legambiente), nel 2021 – con il parziale rientro dallo smart working – il rapporto tra uso di vetture private e biciclette sta tornando ai livelli consueti. Nonostante la crescita delle piste ciclabili in Italia. Addirittura, per Del Prete, «il traffico automobilistico cresce del 20% rispetto al 2019». E in base a un sondaggio recente nell’ambito della campagna CleanCities, l’attuale frequenza d’uso settimanale delle auto (tra le 4,5 e le 5 volte) e delle bici (circa 1,5 volte) sta tornando quasi la stessa “pre-Covid”.

Come procede la Sharing Mobility? 

Affiancare sharing pubblico e privato potrebbe dare una mano. Non necessariamente, però, perché il prezzo, oltre alla tipologia di servizio, ha il suo peso. Secondo il IV Rapporto Nazionale Sharing-Mobility, il numero di noleggi del bike sharing station based – pubblico e più a buon mercato – è sceso tra il 2018 e il 2019 del 20%. Il free floating – in genere privato e più caro – è invece cresciuto di oltre il 60%, passando da circa un terzo a oltre il 55% dei noleggi. La sua avanzata, però, non si è tradotta in un pari incremento delle percorrenze, cannibalizzando semmai il servizio “concorrente”. Al free floating si ricorre di più per noleggi brevi, nel 50% dei casi sotto i 5’ e nel 73% sotto i 500 m di percorrenza. Allo station based per distanze tra uno e 2 km e durate nell’80% dei casi sotto i 20’, soglia inclusa nell’abbonamento. La superiore durata del noleggio a postazione fissa, quindi, ha fatto sì che nel 2019 le percorrenze del free floating si siano fermate al 37% del totale. Un’ultima occasione per stimolare la ciclabilità, infine, avrebbe potuto offrirla il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Purtroppo, però, su 191,5 mld di € di finanziamenti europei NextGenerationUE disponibili, ne destina soltanto 600 mln al “rafforzamento della mobilità ciclistica”, con i quali realizzerà 570 km di ciclabili urbane e metropolitane e 1 250 km turistiche: «Ma 570 km è quanto in Francia ne realizzerà la sola Parigi!», esclama il responsabile mobilità e spazio di Legambiente Lombardia.

>Leggi anche: Orti urbani in Italia, da Milano fino alla Sicilia

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